“C’eravate già voi, quando scoppiò il diluvio universale? Ah, proprio una magnifica idea quella lì! Ci crediate o no, ancora non ho finito di pentirmene.

Ero scandalizzato dal comportamento degli uomini e così scagliai sulle loro testacce dure una pioggerella niente male (anzi, piuttosto insistente, direi). La mia voce tonante rimbombò nelle altezze, annunciando a quegli sciagurati l’ira di Dio che li aspettava. Beh, indovinate! Prima ancora che il cielo si oscurasse e che una sola goccia d’acqua fosse caduta, quelli si eran già tutti suicidati per paura di annegare! Roba da matti, per Giove! Ne rimaneva soltanto qualcuno che (manco a dirlo) affogò subito, peggio di un marinaio d’acqua dolce, appena i mari si agitarono un po’ per effetto dei temporali. Che poi terminarono e si misero calmi da una parte. Non rimanevano che i venti, adesso. Alquanto muscolosi e robusti, in verità!

Io, che guardavo la Terra con la lente d’ingrandimento chino sulla mano di Gegè*, credevo ormai che gli uomini fossero morti tutti.

E invece (con stupore o con sollievo? Mah…) vidi che un sopravvissuto c’era: Noè! Noè che a forza di remi, su una barchetta da ridere, vagolava per quegli oceani mostruosi.

“E da dove sbuca?!” – pensai – “Come ha fatto?!”.

Sempre più incuriosito mi rimpicciolii, entrai nel cosmo e raggiunsi il pianeta. La situazione non era entusiasmante, bisogna ammetterlo: figuratevi che appena arrivato, dovetti camminare sulle acque fra cavalloni giganteschi e imbizzarriti. Comunque, dopo qualche secondo a veleggiare su ondate e tempeste furiose, riuscii a vedere in lontananza il mio bravo superstite.

Avvicinandomi sgranai gli occhi: il rematore (ah che giovanotto gagliardo era Noè, all’epoca!) aveva un’aria tutt’altro che spaventata. Addirittura lo udii cantare a squarciagola! Urlacchiava qualche parola come “Quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto” o qualcosa del genere. Insomma, io mi aspettavo di trovare un naufrago in balìa della paura, ed invece eccoti qua un cantante nerboruto che dava di piglio sui remi!

Sorpreso e confuso più che mai, rimasi a guardarlo, istupidito, dall’angolino di oceano che mi ero scelto per accovacciarmi accanto alla sua barca.

Era già trascorso qualche minuto quando Noè, immerso nelle sue evoluzioni per non affondare, si decise finalmente a scorgermi e interpellarmi.

“Salve Ammiraglio!” – gridò – “Una meraviglia di tempo, eh?”.

Io insistevo a fissarlo con espressione ebete: “Come fa ad essere così allegro in mezzo a tutto questo putiferio, se perfino io (il Boss!) mi sono impressionato a vederlo??”.

“Invece di star lì come un beato in estasi” – mi trattava con sarcasmo! – “perché non salti su, Ammiraglio? Io mi sto divertendo da pazzi qua sopra!”.

Capii, dal suo tono, che diceva sul serio: l’amico non era sarcastico ma si divertiva davvero!

“Adesso la faccenda è chiara, bello!” – con sollievo uscii dal mio sbalordimento – “Sei felice e giulivo perché ’sto diluvio ti ha fuso il cervello. Sfido, allora, che ti diverti da pazzi!”.

“Cosa Ammiraglio?” – si spazientì lui – “Mi dài del matto solo perché, invece di piagnucolare, me la rido della grossa? Oh avanti, non scherzare!”.

“Non scherzo infatti” – risposi, ormai sicuro di me – “E poi non sono un ammiraglio, sono il Boss!”.

Scavalcai la murata di quella sua maledetta bagnarola e, mentre afferravo un secchio che se ne stava lì a poppa, a rotolare isterico, domandai: “Senti pazzerellone” – parlando, cominciai, tanto per far qualcosa tra una frase e l’altra, a gettar fuori bordo secchiate d’acqua marina – “Senti pazzerellone mio, perché non ti sei suicidato come tutti, appena ho tuonato dai cieli, eh?”.

“Se hai voglia di ascoltarmi” – fece Noè, assestando la barca sulle onde con magistrali colpi di remo – “non mancherò di svelarti l’arcano. Anzi te lo spiego subito. Vedi, Ammiraglio, è molto semplice: anch’io come gli altri uomini avevo paura della morte. Ma fra di noi c’era una differenza: gli altri si sono impauriti solo all’ultimo, in punto di diluvio; io, al contrario, avevo paura da sempre. Sai, scrivevo poesie su questa mia, non esiterei a dire, insensata e diabolica paura: e t’assicuro che erano liriche geniali! Perciò non tardai a pensare e dichiarare che la genialità (tutto quel che è genialità) è in realtà paura della morte. E galvanizzato da una deduzione così brillante e convincente, continuai proclamando che se dal timore della morte viene la genialità, dall’amore per la vita deriva soltanto la pazzia.

La pazzia di sentirsi piccoli in confronto a Dio; la pazzia di sentirsi incapaci di amare abbastanza la vita; e, quindi, la follia di considerare il proprio amore troppo blando e insignificante dinanzi a quello che Dio ha, appunto per la vita. E questa follia, caro Ammiraglio, crea a sua volta la paura di non meritare la vita; o meglio il terrore di essere puniti da Dio per non averla amata con la dovuta intensità. Insomma, Ammiraglio egregio, chiunque ami la vita non sfuggirà al tormento della paura… e una simile situazione che potrà mai originare? Odio ovviamente! Verso l’amore e verso Dio.

Ecco perché gli uomini, affogati nel diluvio, pur di liberarsi dalla paura, pur di godere la vita prima di morire, eran pronti ad abbandonare l’amore stesso per la vita e ad accettare, dunque, l’odio e il male”.

Noè ridacchiò, guardandomi con scintillìo furbesco negli occhi: mi stava prendendo in giro? Io, a dir la verità, ero di nuovo confuso (frastornato!) e non capivo più niente. Per giunta ero completamente fradicio d’acqua e sale.

“Dopo questi contorcimenti psicologici e sentimentali, Ammiraglio stimatissimo” – proseguì quel sadico, tanto per farmi rimbambire meglio – “si finisce con lo scoprire che l’amore per la vita significa una cosa sola: pur di avere la gioia, essere disposti a tutto… anche a odiare! Ihihih… E questo Ammiraglio, devi riconoscerlo, se non è vigliaccheria è per lo meno intelligenza; o, se preferiamo, rimpianto (cioè sfrenato desiderio di sperare); o, se proprio vuoi trovare un’ulteriore definizione, ingenuità… ”.

In quell’attimo preciso la barca s’inerpicò su su per un’onda che pareva Satana e Gargantua messi insieme.

L’impeto dell’acqua mi sbalzò in mare; e per un istante, totalmente rincitrullito dal parolame di quel disgraziato, mi scordai d’essere il Boss, rischiando (atrocemente e gravemente!) di lasciarci le penne ed affogare.

“Ehi, che ti succede Ammiraglio?” – mi sbeffeggiò il disgraziato, tirandomi a bordo della sua indegna scorzetta di legno marcio – “Non sai più camminare?”.

“Senti amico, mi fai perdere il ben dell’intelletto con le tue ciance!” – ansimai, mezzo asfissiato – “Perciò piantala di blaterare!”.

“Ullallà Ammiraglio, ma se devo ancora dirti il grosso delle mie riflessioni!”.

“No, per carità: non voglio annegare!”.

“Oh, quante storie! Hai cominciato tu a far domande, no? E allora niente scuse, adesso!”.

“Dio… ”, mormorai, disperato e disgustato.

“Ti raccontavo poco fa” – iniziò l’infame – “che io ho sempre avuto paura della morte. Intanto però, guarda un po’ Ammiraglio l’ironia e la comicità, mi ritrovavo a odiar la vita, colpevole ai miei occhi di esser così amorosa e amabile da ispirarmi, appunto, il timore di perderla. E, infelice, detestavo la vita senza mai quindi vivere. Ma quando tu hai sbraitato dai cieli che avresti rovesciato una superba doccia assassina sull’umanità, io non ho perso tempo a uccidermi o a comprare il costume da bagno, perché ho intravisto subito la possibilità di amare finalmente la vita e di avere, come desideravo, la felicità. Osserva e allibisci, Ammiraglio: di quella vita che sorgeva dai mari, resta un oceano d’acque iraconde, brulicanti quasi di terrore e desolazione. Ormai, passato il diluvio, passata la distruzione, della vita che avanza? Gli elementi più deformi e penosi: la bruttezza, lo squallore, l’angoscia e l’orrore di non esser che solo, di avere per unica compagna la sofferenza”.

Inaspettatamente s’azzittì. E non mi sembrò vero!

Purtroppo, dopo qualche secondo (sublime!) di pausa, riattaccò ad intronarmi con i suoi ragionamenti strampalati. Adesso il tono funereo delle sue ultime frasi era scomparso, e lo sostituiva una dannata allegria, un maledetto brio da maniaco.

“E quindi, dal momento che la vita è diventata racchissima, io ho smesso di temere la morte e per una volta riesco a vivere! Sì, perdere la vita non mi spaventa più. Perché grazie al dolore e alla desolazione io ora ho la felicità e ho la gioia e… e un’enorme, titanica voglia di ridere e fare baldoria!! Ahahah!! Quindici uomini, quindici uomini (su Ammiraglio, canta!) sulla cassa del morto e una bottiglia di rhum!! Ahah!!”.

Mi tappai le orecchie: era pazzesco tutto ciò, pazzesco pazzesco!

Ma pure stonato, che diavolo!

“Ho lottato contro le onde e non mi sono ucciso, perché quest’oceano è il mio Paradiso, la mia patria, la mia casa, la mia oasi, la mia bottiglia di rhum! Ahahah!!”.

Dava in escandescenze, e un po’ rideva, un po’ berciava striduli motivetti da pirati, con una voce squinternata che impressionava.

“Quindici uomini, quindici uomini… duetta con me, Ammiraglio!”.

Mi sentivo così strano… stordito.

“Tu volevi annientare la vita. E invece guarda qui cosa hai fatto: me l’hai donata! Non sei contento? Ahah!! Quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto”.

Mi dovetti appoggiare alle assi della barca. Dio che nausea: non reggevo più. Quello spettacolo di follia in eruzione era indecente e allucinante!

“Ehi, bisogna stare attenti” – mi dissi, rendendomi conto che ero di nuovo sul punto di scordare me stesso – “Se un altro cavallone mi porta via, qui il mondo resta orfano di Boss. E, tanto per gradire, io vado al Creatore!”.

“Ecco perché” – delirava nel frattempo il disgraziato – “ecco perché ho rubato questa carcassa e sono sopravvissuto! Unicamente per amare la vita, ahah!! E che vita! E che amore! Perché, naturalmente, il mio amore non è come gli altri. Prima infatti la vita era così bella che mi suscitava il timore di perderla. Ma adesso che è desolazione e quindi dolore, io la odio e di conseguenza la mia paura di perderla è svanita. Insomma la vita non mi causa più alcun timore o ansia… e perciò mi è possibile amarla, finalmente.

In conclusione, per essere tortuosamente semplice, io amo perché odio: e tutto l’amore che provo, servirà soltanto a rammentarmi non i calzini ma, al contrario, che io odio e odierò sempre… Hhhihihihih!!! Quindici uomini, quindici uomini (canta Ammiraglio!) quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto e una bottiglia di rhum!!! Ahah!!!”.

Che mal di testa avevo! E la nausea: uh, la nausea! Erano le onde o quella pazzia crescente e inconsulta a farmi venire lo stomaco fra i denti? Non lo so… non lo so…

“Ehi Ammiraglio, stai male?” – mi apostrofò il disgraziato – “Canta che ti passa, no? Ihihih!! Quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del mor… ”.

S’interruppe bruscamente e ridendo a quattro palmenti mi disse: “Ammiraglio, con le mie speculazioni ho trasformato l’amore in vigliaccheria e paura! Sì sì sì: indubbiamente sei un vigliacco, il peggiore!, se ami una determinata cosa per il solo motivo che non ti fa paura, che non ti crea ansie. E io, dal diluvio in qua, amo la vita appunto perché ha cessato di stimolarmi paure o angosce. Ergo io sono un vigliacco, un codardo e tutto quel che ho fatto e sproloquiato sino ad ora altro non è che viltà viltà viltà viltàviltàviltàviltà e viltà! Ihihihihih!! Quindici uomini, quindici uomini (animo Ammiraglio, tira fuori il fiato!) sulla cassa del morto e una bottiglia di rhum!!! Ahah!!”.

Ero frastornato, intontito, confuso, rimbambito e chi più ne ha più ne metta! Ero completamente nel pallone. Ah che momenti, che momenti ragazzi miei!! Non ve li auguro davvero!! Questo tizio, che ora se ne sta beatamente stravaccato sulla mia poltrona, aveva cominciato a saltare come un canguro sulle panche della nostra barca, mollandosi pacche terrificanti sulle cosce.

(Senza contare quelle che appioppava a me sulle spalle, ridendo come un pazzo ammattito e chiamandomi con voce convulsa e stravolta: “Ehilà, ehilà Ammiraglio! Ihihihih!! Quindici uomini, quindici uomini!”).

Un miracolo se non ci siamo ribaltati! Io, in mezzo a quell’inferno di oceani bavosi e di matti disgraziati in piena crisi d’esaltazione, non sapevo più che cosa fare o dire. Allora… allora, dopo aver cercato invano una frase di circostanza (tipo quelle che si usano sempre, come magari: “Lasciate che i pargoli vengano a me” o “Alea iacta est” o… “’Ntroi ’ntroi, ciascun coi pari suoi”) e disorientato al massimo dal non averla trovata, per darmi un contegno feci rinascere il mondo…

In un amen la barchetta si trovò arenata su una spiaggia in riva al mare. I bagnanti (chi sdraiato, chi in piedi, chi passeggiando e chi entrando in acqua) si brasavano la pelle in una magnifica giornata estiva.

A giudicare dal loro abbigliamento e dagli edifici che circondavano la spiaggia, dovevamo esser capitati ai tempi di Roma antica.

Respiravo già di sollievo (per essermi tolto da quell’oceano canaglia) quando mi accorsi che davanti a me, nella barca, il disgraziato aveva smesso di gracchiare e scalmanarsi.

Muto, per quanto a bocca aperta, si guardava intorno sbigottito. Dopo un attimo si girò verso di me, e fissandomi dritto negli occhi: “E no, Ammiraglio!” – strillò, con una faccia che era un minestrone di paura, disperazione e odio – “Questa non te la perdono!!!”.

E, immediatamente, si mise a correre come avesse alle calcagna un’intera Apocalisse. Agitando caoticamente le braccia e gridando a squarciagola: “Non voglio morire! Non voglio morire!! Aiuto!!!”, attraversò di getto la spiaggia fino a scomparire, chissà dove, tra lo stupore dei bagnanti e il pallore della sabbia.

Demoralizzato, annichilito da tutto quel che m’era successo, io mi alzai groggi-groggi e, sceso dalla barca, m’incamminai lentamente. Non so perché, avevo un desiderio pimpante di umiliarmi. Così, appena trovai il padrone dello stabilimento, gli chiesi un posto da bagnino, per la stagione delle vacanze… ”.

* Disinvolto vezzeggiativo, che funge qui da affettuoso sinonimo della parola “Gesù”

© Pietro Pancamo

Poeta, novelliere, editor professionista, Pietro Pancamo è nato a Cuneo nel 1972. Suoi testi sono apparsi sul Corriere della SeraIl Fatto Quotidianola RepubblicaLa StampaPoesia (Crocetti Editore)AtelierGradivaPoetarum silvaCarmillaIl RidottoIl Paradiso degli OrchiFantasyMagazineIF. Insolito & FantasticoVibrisseEl GhibliCronache letterarieScriptamanent (Rubbettino Editore)Suite ItalianaDiogen (rivista di Sarajevo, fra le più importanti d’Europa). Cura la sezione poesia del mensile italo-olandese Il Cofanetto Magico, conduce la rubrica letteraria (Pod)cast away su Maratea Web Radio. Oltre ad aver fondato e diretto il portale culturale L(‘)abile traccia (citato nel 2007 in un volume della Zanichelli), è stato direttore editoriale della rivista internazionale Niederngasse, caporedattore per la poesia dell’e-zine Progetto Babele, redattore di Viadellebelledonne (blog letterario fra i più seguiti in Italia).