Per ogni chef che realizza il suo top menù, cucinare è un’esperienza sensoriale. Tutti e 5 i sensi – vista, udito, gusto, tatto e olfatto – vengono coinvolti nella percezione del cibo. Perciò, mangiare è la consuetudine più gratificante: alla ricerca del benessere e del compiacimento personale.

Nato a Torre del Greco (NA) nel 1984, Angelo Borrelli muove a 10 anni i primi passi in cucina per poi trascorrere l’adolescenza con il padre nei più rinomati alberghi, ville e ristoranti italiani. Dopo essersi diplomato all’Istituto Alberghiero di Vico Equense (NA), svolge l’apprendistato in diverse regioni dove ha modo di assimilare le varie tradizioni gastronomiche. Consigliere dell’Associazione Cuochi di Torre del Greco Area Nolana, dal 2016 è Discepolo d’Escoffier. Proclamato Cuoco dell’Anno 2008, nel febbraio 2019 si aggiudica il Premio della Critica Giornalistica Enogastronomica in qualità di team manager del Team Cuochi Vesuvio. Come docente esterno tecnico di cucina, Borrelli ha tenuto corsi di formazione professionali negli Istituti Penitenziari napoletani con lo scopo di diffondere i princìpi della buona cucina ponendo le basi per iniziare una carriera lavorativa in questo settore. A Torre del Greco è l’executive chef di Villa Balke, struttura ricettiva per ricevimenti esclusivi.

Cosa stimola la vista nella tua cucina?
«Sono un appassionato d’arte e il mio tempo libero lo trascorro visitando i musei. I capolavori dell’Astrattismo e del Surrealismo sono la mia fonte d’ispirazione, tant’è che tratto il piatto bianco come la tela per il pittore utilizzando l’armonia di colori che mi offrono i cibi in natura. Se Kandinskij è stato il profeta dell’espressione interiore, osservando le opere d’arte e la natura io cerco di dare ai miei piatti una sostanza che sia tangibile alla vista».

Cosa sollecita l’udito nella tua brigata?
«Oltre che napoletano sono un anticonformista e di solito, per chi non conosce Napoli e provincia, c’è quel luogo comune secondo il quale in cucina si urla. Nella mia, di cucina, si sentono mestoli che girano nell’acqua bollente, il tintinnìo del cucchiaio sul bordo della pentola dei sughi, il suono dei timer, i piatti impilati da mettere sul pass… L’unica voce che si avverte è la mia, che carico me stesso e la mia brigata a dare il via al servizio. La cucina dev’essere rumorosa, non si discute».

Come provochi il gusto nell’ideare un menù?
«L’armonia è fondamentale, affinché un menù completo venga apprezzato e assaporato con piacere. Il gusto è qualcosa di strettamente personale: nel mio caso, è legato alla conoscenza gustativa di semplici materie prime alle quali abbino qualche ingrediente che “spezza”, procurando al palato una sensazione di benessere. È importante conoscere i prodotti della propria terra, assaporarli più volte per attivare tutte le papille gustative… Solo quando si arriva a conoscere profondamente ogni ingrediente, ci si può aprire a nuove esperienze gustative trovando i giusti abbinamenti».

Cosa percepisce il tatto nell’esecuzione di un piatto?
«Per uno chef il tatto è a dir poco basilare».

Come scateni l’olfatto al mercato?
«Entrare in un mercato è come trovarsi nel paese dei balocchi: si viene sopraffatti da un turbinìo di colori, odori, suoni. Bisogna allora essere capaci di isolarsi e di vivere il momento, come in una lezione di Yoga: si trova l’alimento, lo si prende tra le mani, si chiudono gli occhi e si annusa profondamente. Se da ogni prodotto riesco a percepire l’origine e la terra, allora è ciò che fa al caso mio».

Qual è il tuo piatto che esalta di più i 5 sensi?
«La percezione sensoriale è un qualcosa di intimo e personale: non esiste un solo piatto che sia in grado di esaltare tutti e 5 i sensi. Per quanto mi riguarda, in ogni composizione stimolo ogni senso non lasciando mai nulla al caso. Per riuscirci penso sempre a mia nonna, a quando preparava il polipetto imbottito alla luciana, e allora ricordo l’odore intenso del polpo appena pescato, il suono del sugo che bolliva, la mia lingua che scottava perchè di nascosto andavo ad assaggiarlo a metà cottura e la delicatezza con cui la nonna lo impiattava».

Una ricetta semplice e veloce da preparare con i consigli dello chef Borrelli?

Manicotto Leonessa con ricci di calamaro, tartufi di mare, plire di pomodori datterini e chiffonade di fiori di zucca

Ingredienti per 4 persone: 320 gr. di Manicotti Leonessa, 200 gr. di calamari del Golfo di Napoli, 300 gr. di tartufi di mare, ½ fascio di prezzemolo, 150 gr. di pomodori datterini, 10 fiori di zucca, olio extravergine d’oliva q.b., sale q.b.

Procedimento

Pulite i calamari molto attentamente e praticate alcune incisioni formando dei rombi (fondamentale per far sì che durante la cottura prendano la forma di un riccio). Nel frattempo mettete a bollire abbondante acqua salata per la successiva cottura dei Manicotti Leonessa. Una volta puliti e incisi i calamari aprite i tartufi, sciacquateli con accuratezza filtrandone l’acqua e spadellateli in olio e aglio insieme ai pomodorini tagliati e privati dei semi. Mentre i manicotti sono in cottura, tagliate i fiori di zucca a julienne e tritate il prezzemolo. Unite ai manicotti cotti al dente i calamari, i tartufi e i fiori di zucca con prezzemolo. Componete il piatto seguendo la vostra creatività.

Foto: Sospensioni sferiche di diletto gustativo tra sapori terreni e marini
Pizzicotto di grano arso ripieno di zuppetta di mare, spugna di plancton marino e cristalli di corallo
Spirale di yogurt acido con spumone di cioccolato Domori 50%, cubi di lampone ghiacciato e nuvolette di amaretti alla menta bianca