Peso massimo dell’arte moderna fra i più esposti in assoluto a livello mondiale, Andy Warhol goes to Tate. Squilli di trombe, rullo di tamburi, lo scorso 12 marzo la Tate Modern di Londra ha dato il via alla rutilante retrospettiva dedicata al Pope of Pop Art (1928-1987). Si è trattato di un warholiano bentornato a casa, dopo un ventennio d’assenza dalle sale museali che ogni anno attirano una stima di 5.500.000 visitatori. Senonchè a una manciata di giorni dal vernissage, causa coronavirus la mostra ha chiuso – e con essa l’intera Tate – abbandonando temporaneamente il centinaio di opere made by Warhol al loro destino cinico e baro. Vivaddìo, però, confidando che i musei londinesi riaprano ben prima del 6 settembre 2020, data di chiusura della mostra, i curatori Gregor Muir e Fiontán Moran oltre ad aver discusso Warhol sui suoi trascorsi da “immigrato“, la sua identità LGBTQI e il rapporto con la morte e la religione nel video che pubblichiamo qui sotto, offrono un Exhibition Tour stanza dopo stanza (sono in tutto 12) che potere seguire qui.
Boy With Flowers, 1955-1957, Artist Rooms, Tate and National Galleries of Scotland
Andy Warhol (mai titolo espositivo fu più ovvio e perciò efficace) ha inizio dalla room anagraficamente dedicata ad Andrew Warhola, natìo di Pittsburgh in Pennsylvania, 3° figlio dei cecoslovacchi Andrej e Julia Warhola, declinando con disegni e ritratti di nudi maschili la propria gayezza ritenuta illegale nell’America degli anni 50. Sleep, il tema della seconda stanza, si riferisce all’omonimo film del 1963 girato da Warhol con una cinepresa 16 mm, lungo 5 ore e 20 minuti, che riprende il sonno del poeta/amante John Giorno il quale ebbe modo di dichiarare: «Andy ha aggirato l’omofobìa del mondo dell’arte trasformando Sleep in un quadro astratto: il corpo di un uomo come campo di luci e ombre». Con la sezione Pop entriamo nell’universo di quell’arte popular che ha decretato la grandezza warholiana. Lo facciamo attraverso un corpus di opere iconiche anni 60 come il Marilyn Diptych, gli Elvis I & II, le Coca-Cola Bottles e le Campbell’s Soup Cans, ma anche attraverso l’emotività e l’orrore sprigionati dalla serie Death And Disaster, nonché immagini shock come Pink Race Riot (Red Race Riot) che ritraggono gli attivisti per i diritti civili “azzannati” dalla polizia.
Le Room 4, 5 e 6 pongono l’accento sull’Andy Warhol vieppiù legato alla multimedialità. Se The Factory pone l’accento sull’experimental art studio newyorkese dove vengono girati dal 1963 al 1972 gli Screen Tests e un’infinità di film perlopiù connessi alla Superstars, la sezione intitolata Silver Clouds focalizza i cuscini d’argento, pieni d’elio, realizzati con l’ingegnere tedesco Billy Klüver (Warhol li definì «dipinti che fluttuano nell’aria»), mentre la sezione Exploding Plastic Inevitable si rivolge all’artista che approccia le avanguardie rock “battezzando” The Velvet Underground e cucendo loro addosso quell’EPI descritto da Lou Reed come «uno spettacolo di e per i freaks».
Hammer And Sickle, 1976, Museum Brandhorst
Cronaca nera con The Shooting nella stanza N° 7. Agli inizi del 1968 la Factory si trasferisce nella Union Square e il 3 giugno Valerie Solanas, delirante autrice del femminista SCUM Manifesto, spara a Warhol riducendolo in fin di vita; e lui accetterà di posare per il fotografo Richard Avedon, mettendo a confronto i punti metallici che costellano il suo petto con un abito di Yves Saint Laurent. Back To Work (Room 8) racconta il ritorno all’arte after the shooting: la nascita della rivista Interview, capolavori pittorici come la serie dedicata a Mao, la business art dei ritratti eseguiti su commissione («Fare soldi è arte, lavorare è arte e il buon business è la migliore delle arti», Andy dixit) e soggetti come Hammer And Sickle e Skull, drammaticamente inusuali. È l’anticamera di Ladies And Gentlemen, nella nona stanza, la serie di ritratti alle drag queen e ai transessuali neri e latini che Warhol recluta nei drag bar newyorkesi, mette in posa per uno scatto con la sua Polaroid e trasforma in quadri coloratissimi e struggenti.
Ladies And Gentlemen (Wilhelmina Ross), 1975, Italian Private Collection
Se la sezione Exposures ci immerge nel glamour dello Studio 54 immortalando Debbie Harry dei Blondie e Grace Jones per poi erotizzarsi nella serie Torso attraverso corpi maschili reclutati nei locali gay; estremizzarsi a spruzzi di urina negli Oxidation Paintings e viaggiare via cavo con la Andy Warhol’s TV e la Andy Warhol’s Fifteen Minutes in onda su MTV, le 2 conclusive sezioni – Mortal Coil e The Last Supper – affrontano l’opera di AW dal punto di vista politico e religioso con la Statue Of Liberty avvolta in un camouflage militare, la serie di ritratti devoti a Lenin, gli amletici autoritratti e l’epilogo esistenziale che intreccia fede, morte e desiderio nella sublimazione delle Sixty Last Suppers basate sull’Ultima Cena leonardesca. In ognuna di esse, idealmente, c’è il ritratto di un dolore senza fine – la perdita di Jon Gould, il compagno morto di Aids – che ricorda i “colombari” di molti cimiteri.
Debbie Harry, 1980, Private Collection of Phyllis and Jerome Lyle Rappaport
Dopo aver messo in mostra The Last Supper a Milano, Andy Warhol torna a New York per sottoporsi a un banale intervento chirurgico alla cistifellea. Morirà il 22 febbraio 1987, a 58 anni.
Sixty Last Suppers, 1986, Nicola Erni Collection
© 2020 The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. / Artists Right Society (ARS), New York and DACS, London
Andy Warhol
Fino al 6 settembre 2020, Tate Modern, Bankside, Londra
tel. 0044-20-78878888
Catalogo Andy Warhol Exhibition Book: paperback £ 25, hardback £ 40