Un provocatorio sex thriller, che non nasconde proprio nulla, ha dato modo alla sua protagonista di aggiudicarsi la Coppa Volpi all’ultimo Festival del Cinema di Venezia e più di recente il Golden Globe come miglior attrice in un film drammatico.

Nicole Kidman con Antonio Banderas

Scritto, diretto e prodotto da Halina Reijn, Babygirl vede Nicole Kidman nei panni di Romy, CEO di una multinazionale nel settore della robotica, nonché madre di 2 ragazze e moglie di Jacob (Antonio Banderas),  professione regista teatrale. Nella sua vita all’apparenza perfetta, si nasconde l’impensabile: in 19 anni di matrimonio, Romy non ha mai raggiunto l’orgasmo ed è convinta sia solo colpa sua e di certe fantasie che non è mai riuscita a confessare al marito.

L’attrice australiana con Harris Dickinson

Tutto si complica quando Samuel (Harris Dickinson), giovane stagista, intuisce le sue necessità e cerca in ogni modo di sedurla. Romy si sottrae per non poche ragioni: la sua posizione di potere rende tutto sconveniente; Samuel è decisamente più giovane di lei e di conseguenza dovrà resistergli a ogni costo, pensando al profondo amore che la lega a Jacob e alle figlie.

Ma l’irresistibile tentazione di concretizzare quelle fantasie a lungo represse, la indirizza verso un consensuale rapporto di dominazione/sottomissione con tutte le conseguenze del caso. Al punto che in una New York natalizia e fredda la coppia ruba ogni possibile attimo per ritrovarsi e dare sfogo alle fantasie di Romy, che finalmente riesce ad accettare quella parte di sé che altrimenti avrebbe continuato a nascondere.

«La dualità della natura umana mi affascina», ha dichiarato la regista olandese, «e con Babygirl ho cercato di far luce sulle forze opposte che compongono le nostre personalità. A metà della nostra vita non possiamo più nasconderci e siamo obbligati a confrontarci con i nostri demoni interiori. Ma più sopprimiamo la nostra ombra, più il nostro comportamento è destinato a diventare pericoloso e dirompente».

Eppure, nonostante la sua natura proibita, la gioia di quel reciproco esplorarsi non potrà che essere liberatorio, se non addirittura curativo.