Ero di passaggio in Versilia. Tornavo a Milano da Roma per l’autostrada tirrenica. A Viareggio ho un caro zio carico d’anni dal quale mi fermai per la cena. Lo zio vive solo con qualche aiuto e non gli par vero di ricevere visite da parenti lontani. Per cui fu giocoforza spendere da lui anche la notte.
A cena tirammo il fondo di una ciotola che si era presentata a tavola ricolma di fagioloni toscani e cipolle dolci, olio d’oliva, sale, pepe in abbondanza. Vino bianco fresco di cantina e fette di pane locale a volontà.
Poco prima del buio ciondolavamo nell’orto dietro la cucina. Lo zio si reggeva al mio braccio fidando in un valido sostegno. Ma il gran vino e il fagiolo traditore m’avevano incurvato mica male, per cui capitava che fosse il mio di braccio a gravare sopra il suo.
D’un tratto scorsi un animaletto marrone che scorrazzava libero nell’orto facendo scempio d’insalata. Così mi venne di chiedere allo zio se mai lo conoscesse.
“Lo conosco sì. È Tarzan. Un bastardino di forse tre anni capitato qui un mattino per caso…“.
Era un cagnetto che assomigliava a un gatto, magro e tirato come un chiodo, a pelo corto color castagna col musetto lungo e gli occhi furbi. Mentre ragionavo sui di lui, lo zio riprese la mia attenzione e disse:
“Ho una storia incredibile da raccontarti. Parlo di quel cane che somiglia più a un gatto per l’agilità dei movimenti e le abitudini di vita…“.
Levò un braccio a indicare la grossa palma al centro del cortile e disse che proprio lassù in cima si era svolta la grande storia che mi stava per raccontare.
“Tutto finì il mese scorso, ma era cominciato qualche tempo prima. Come ti ho detto noi si aveva qui quel brutto cagnetto svelto come un gatto, lungo e smilzo con i grandi occhi nocciola. Furbo al pari della volpe. L’ho chiamato Tarzan per via che lui ha l’abitudine di cacciare e dormire sugli alberi di questo cortile. Saltando per solito di ramo in ramo viene sovente in contatto che gli uccelli. I quali sono diventati il suo passatempo preferito, nonché il suo unico cibo. È agilissimo. Viene quasi rabbia e a volte dispiacere al vederlo acchiappare, tutti i giorni, passeri, starne, merli, colombi e altri uccelli stanziali. È la sua natura, mi dicevo. Ma non solo. Tarzan caccia anche i topi“.
“I topi sugli alberi?“, gli domandai incredulo.
“Già, i topi sugli alberi…“, ribatté lui, “…tu vieni dalla città e noi sai che i ratti sono ottimi arrampicatori e scalano gli alberi alla ricerca di uova, lucertole e altre cibarie. Tarzan li aspetta acquattato lungo un ramo. Gli balza addosso e li butta di sotto con una zampata. Giù ci sono io con scopa e bastoni a completare l’opera. Ora viene il bello della storia…”.
Mi fece sedere sopra una panca davanti all’orto.
“Un mattino presto presto ecco che ti compare lassù nel cielo, alto e maestoso, un bel gabbiano. Cala in cerchi guardinghi eppoi s’accoccola in cima alla palma. Così lo si vedeva benissimo. Non si trattava, però, di un semplice gabbiano. Quello era un gaima ! Di certo tu non sai chi è il gaima. O no ? “.
Mi scrutò in volto in modo condiscendente.
“No…, non lo so…“ risposi.
“Il gaima, caro mio, è il capo stormo. Quello più robusto e capace tra i gabbiani. Quello che guida i compagni attraverso bufere e tempeste e che loro seguono ciecamente anche all’inferno. Noi viareggini lo chiamiamo così e si ha un gran rispetto nei suoi confronti quando lo si scorge a mare”.
Smise di raccontare e si strinse nelle spalle dentro un mezzo sospiro, quindi riprese:
“Bene, quel grande gabbiano bianco dava spettacolo lassù in vetta e noi ci s’era tutti arroccolati sotto col naso in sù. Anche Tarzan la pensava allo stesso modo e in pochi secondi, più silenzioso di un gatto, s’arrampicò fino alla cima, sotto il grande ciuffo. Il gaima occhieggiava intorno e non s’era accorto di nulla. Tarzan, allora, principiò una lentissima manovra di avvicinamento. Pareva che spostasse un’unghia alla volta. Quel gabbiano, seppure grande e grosso, non si sarebbe accorto proprio di nulla. Lui sapeva governare lo stormo dentro la tempesta, ma poco poteva contro l’agilità, l’astuzia, la freddezza del predatore di razza qual’era Tarzan. Ancora una volta lo ammiravo, ma non senza riserve. Mi spiego. In quel momento la sua completa mancanza di difetti, di qualsiasi debolezza, mi faceva rabbia. No! Non gli avrei permesso di far del male al bellissimo gaima. E compii un’azione riprovevole…“.
Tacque e mi fissò serio.
“Che cosa gli facesti?“, chiesi.
“Raccolsi una pietra e la lanciai lassù. Tarzan si distrasse un istante e il gaima lo scorse. Per un attimo gli prese ad entrambi come una paralisi. Sembravano diventati di gesso. Poi il gaima s’alzò in volo, ma non scappò via. S’elevò sul ciuffo d’un mezzo metro. Le grandi ali sbattevano trattenendolo sospeso nell’aria. Tarzan saltò su e protese la testa e il busto verso l’uccello. La zampa era già pronta a colpire. Dio bono! Averli potuti immortalare in una fotografia. Il gaima mezzo metro sopra la belva, le grandi ali bianche che lo sostenevano nell’aria, il forte becco che aveva preso a lanciare fuori il suo fischio di guerra. Tarzan, di sotto, anche lui, che nonostante la bruttezza pareva persino bello, al massimo della sua elevazione…“.
Nuova pausa.
“…, poi l’attacco, improvviso di entrambi. Fulmineo. Tarzan agganciò un’ala strappando penne e sangue. Il gaima barcollò. Però, in quello stesso istante, colpiva anche lui. Di becco, sul cranio del cane. Tuttavia, dopo aver vibrato il primo colpo, nessuno dei due intendeva abbandonare il campo e dare così la vittoria all’avversario. Fermi, immobili a studiarsi. Chissà che accidenti si dicevano in quei momenti. Rimasero lì a guardarsi negli occhi ancora per qualche secondo. Fu il gaima a levarsi via per il primo. Si alzò, sempre più in alto. Finché puntò verso il mare e scomparve nell’azzurro.
Chiamai Tarzan, che discese lentamente dalla palma a culo in giù. Mi venne accanto e scoprii che un po’ di pizzico, così si dice da noi, se l’era beccato in mezzo al cranio. Uno sbrego di almeno tre centimetri.
“È una bella storia…“, commentai.
“Ma non finisce qui!“, esclamò zio Ernesto.
“Il carattere dei due viene fuori ora…! Il mattino seguente, dicevo, ecco che il Tarzan col suo bel cerottino in testa è già di piantone sotto la palma. Anch’io ero là e mi chiedevo se il gaima sarebbe tornato. Non trascorse un quarto d’ora che quello, bianco e bello, calò lentamente sulla cima della palma, posandosi nello stesso posto del giorno avanti. Tarzan s’arrampicò subito lassù e io già mi dicevo che, quel mattino, uno dei due sarebbe rimasto segnato sul serio. Accadde però una cosa. Eccola l’azione inaudita compiuta da Tarzan. Ma anche da parte dell’uccello, dico io. Il rispetto dell’avversario, la curiosità e l’interesse a conoscere meglio qualcuno che ci è stato nemico con coraggio e lealtà. E la voglia, forse, di farselo amico. Insomma, quei due stavano lassù a mezzo metro di distanza uno dall’altro. E si guardavano negli occhi! Mi venne quasi da piangere per la commozione! Credimi. Perché sono emozioni umane quelle che ho nominato poc’anzi ! Col tempo il gaima tornò parecchie volte e sempre lassù trovava Tarzan ad aspettarlo. Si fissavano a lungo, quasi senza muoversi. A guardarli dal basso pareva che si parlassero piano, per non farsi udire da nessuno. Poi, improvvisamente, il grande uccello smise di venire. Di certo l’istinto l’aveva chiamato lontano, a guidare uno stormo sopra il mare aperto. Tarzan l’attese, l’attende ancora…”.
“Dov’è ora Tarzan?“.
Lo zio guardò l’orologio.
“A quest’ora è in giro, nei cortili vicini, a cercare qualche cagnetta di quelle che gliela danno subito, senza tante storie. Aspetta che lo faccio cercare e te lo presento“.
“No, no. Preferisco non vederlo. Mi darebbe certamente una delusione…“.
“E perché mai ?“, sbottò lui meravigliato.
“Perché non sarebbe mai bello come me lo sono inventato in mente con la tua storia“.
Fra i romanzi di Sergio Cioncolini pubblicati da Pendragon ricordiamo Il cortile del diavolo (2011), I giorni corti (2012), Andava a veder morire i piccioni (2014), L’albero delle bionde (2015), Un’isola sottovento (2016), Un coltello di ceramica verde (2018), Danni collaterali (2019) e Vacanza di sangue (2020).