Chi assiste in questi giorni al breve tour italiano di Suzanne Vega (l’altro ieri al Festival di Villa Arconati a Castellazzo di Bollate nei dintorni di Milano, ieri al Festival della Bellezza di Verona, stasera al Teatro Romano di Firenze) partecipa a una masterclass in canzone d’autore. Incastri perfetti di parole e musiche che partono dal folk per arrivare altrove; classe, eleganza, charme, sicurezza, scioltezza e precisione interpretativa dispensate con consumata perizia; una voce che la naturale stagionatura ha reso ancora più intrigante e ricca di sfumature; un suono arricchito dal fitto dialogo tra la sua chitarra acustica e l’elettrica del dublinese Gerry Leonard, mago dei soundscapes che negli anni 2000 è stato uno stretto collaboratore di David Bowie e si capisce perché. Più che un solista un cesellatore, un pittore di suoni, uno scultore di note, uno scenografo musicale.

Sul palco della splendida Villa Arconati, capelli bianchi e pantaloni a rombi bianchi e neri, usa i suoi sample e i suoi loop, i suoi pedali e i suoi effetti ritrovandosi a occhi chiusi con la cantautrice con cui si esibisce ormai da molti anni. Lei si presenta come sempre di scuro vestita e con un cappello a cilindro sulla chioma color miele: come un’illusionista che sul palco, senza mai rinunciare alla misura e alla sobrietà che da sempre sono i suoi registri espressivi, affascina con piccoli giochi di prestigio sfoggiando – quando serve – il piglio dell’attore teatrale. A 40 anni dal suo debutto nei folk club del Greenwich Village newyorkese ha un bouquet di canzoni che profuma ancora di fresco e di alta qualità letteraria-musicale; e in questo concerto pesca in abbondanza dai primi album: Suzanne Vega, Solitude Standing e 99.9F°. Soprattutto all’inizio perché, spiega, «così la gente si mette comoda, si rilassa e non passa il tempo a chiedersi quando arriveranno i suoi pezzi preferiti».

Marlene On The Wall e Small Blue Thing, quadretti impressionisti di una giovane sognatrice che faceva i conti con la solitudine, l’incomunicabilità e le prime delusioni sentimentali, evocano l’incanto del suo disco d’esordio; Caramel (in cui Suzanne, senza copricapo e sbracciata, si muove davanti al microfono posando per la prima volta la chitarra) è la sensuale e saporita bossa nova alla Astrud Gilberto che ricordavamo; e subito dopo lo show svela alcuni dei suoi principali fili narrativi. È lei stessa a spiegare che la delicata filastrocca di Gypsy, scritta a 18 anni per il suo 1° amore, ha a 15 anni di distanza lo stesso protagonista di In Liverpool, volubile come un cielo inglese e sospesa in un onirico stato d’attesa come una città del Nord inglese la domenica mattina senza traffico per le strade. E che la rockeggiante When Heroes Go Down venne scritta in omaggio a Elvis Costello: il riferimento è reso esplicito dal riff di Pump It Up suonato da Leonard e dalla ripresa in stile quasi talking di Lipstick Vogue, un altro pezzo apparso a fine 70 su This Year’s Model.

Un classico testo costelliano, zeppo di vocaboli e chilometrico come quello della ballata The Queen And The Soldier, che Vega presenta definendola una canzone lunga, triste e dal tragico finale: non si spaventa certo il pubblico milanese («cool e intellettuale», sottolinea lei), attento, partecipe e capace di riconoscere anche le deep cuts, i pezzi meno famosi, alle prime note. Un altro filo narrativo si avvolge attorno alla tragedia della guerra in Ucraina: prima con una sferzante Rock In This Pocket (Song Of David), la storia di Davide che prevale su Golia recuperata tempo fa per un benefit per il Paese dell’Est Europa devastato dalla guerra; e poi con la dolente Last Train From Mariupol, inedito che dovrebbe finire l’anno prossimo su un nuovo disco di studio.

Solitude Standing è la magnetica e ondeggiante title track del suo disco più famoso; Left Of Center un vecchio singolo che qui Suzanne interpreta usando un ventaglio come semplice ed efficace elemento scenico (oltre che per scacciare zanzare e umidità); il rock urbano e stridente di I Never Wear White, la spiegazione di un dress code che rispecchia la sua natura (“non vesto mai di bianco/il bianco è per le vergini/i bambini in estate/le spose nel parco/il mio colore è il nero/il nero è il colore dei segreti/dei fuorilegge e dei ballerini/dei poeti dell’oscurità ”).

Suzanne Vega con il chitarrista Gerry Leonard

Dopo Some Journey, uno splendido quadretto sulle fantasie dell’adolescenza e sulla sua vorace voglia di scoperta nel cui finale le chitarre si intrecciano come in una ballata rock degli Who, arrivano le 2 canzoni che l’hanno consegnata alla storia del pop mainstream e che lei non si stanca mai di replicare: Luka, magico esempio di connubio tra una melodia delicata e un testo straziante che parla di abuso sui minori, è diventata più lenta e sofferta; l’istantanea di vita urbana di Tom’s Diner, che sdoganò Suzanne presso il mondo dell’electronica e dell’hip hop, non è più a cappella ma ritmata dagli accordi stoppati di Leonard, i suoi loop, i battimani della cantante e del pubblico.

Chi ha consultato le scalette del tour o l’ha vista di recente sa cosa lo attende dai bis, leggermente abbreviati mentre su Bollate si alza un forte vento e i lampi in cielo fanno presagire un temporale imminente. Prima di una Rosemary in chiave quasi country & western arriva la cover di un altro poeta dell’oscurità e amico intimo, Lou Reed: pochi altri artisti contemporanei possono risultare credibili nell’interpretare «una canzone newyorkese» come Walk On The Wild Side come questa californiana di nascita che a New York è cresciuta fin da piccola assorbendone lo spirito, i paesaggi, l’atteggiamento, lo state of mind. Quando Suzanne cita il suo nome, dal cielo arriva un borbottìo: sembra proprio, come si affretta a commentare, che Lou stia dando la sua benedizione permettendo al concerto di finire prima che tanti spettatori, sulla strada di casa, incontrino il diluvio universale.

© Giuseppe Spinozzi

Setlist

Marlene On The Wall, Small Blue Thing, Caramel, Gypsy, In Liverpool, The Queen And The Soldier, When Heroes Go Down / Lipstick Vogue, Rock In This Pocket (Song Of David), Last Train From Mariupol, Solitude Standing, Left Of Center, I Never Wear White, Some Journey, Luka, Tom’s Diner.

Bis

Walk On The Wild Side (Lou Reed cover), Rosemary.