Carissimo autore,

anziché pubblicare le solite note con cui cerco di manifestare le mie impressioni di lettore affezionato e i miei piaceri di consumatore di altrui scritti (preferisco evitare termini spocchiosi come analisi critica o simili), stavolta ti scrivo una lettera: stavolta sento il bisogno di un rapporto più diretto e paritario, anche più amichevole, perché sono sempre più convinto che l’esistenza di chi scrive e di chi legge sono particelle elementari di una stessa realtà, indispensabili l’una all’altra.

Tuttavia nel rapporto tra scrittore e lettore interviene sempre un terzo elemento, altrettanto imprescindibile: è la storia che viene narrata e quindi i suoi protagonisti. E indubbiamente il protagonista del tuo più recente lavoro – Una donna fa l’uomo bello – è davvero unico e imprescindibile, per certi versi sconvolgente. Sembra fin da principio il ritratto di una specie animale in declino, inadatto all’ambiente in cui vive, o meglio in cui trascina la sua esistenza quasi controvoglia. Si trova più o meno nel “mezzo del cammino” (47 anni) e ancora non ha raccolto le esperienze fondamentali della prima parte della vita: è timido, introverso, sessualmente vergine, pieno di pregiudizi e di diffidenze, incapace di socializzare con chiunque. Dedica una cura maniacale solo ai gerani rossi del suo balcone, forse invidiando il loro felice vegetare. Sembra il classico esemplare avviato su un percorso patologico verso un finale molto probabilmente tragico. Almeno così pensa il lettore, che peraltro fatica a provare per lui la minima simpatia, al massimo un po’ di pietà.

A questo punto però io ho avuto il primo soprassalto: mi sono chiesto perché mai questa specie di ameba si esprima in prima persona singolare. Ovvero, mi chiedo perché tu abbia scelto di raccontare questa storia in forma di diario, quando non è necessario neanche per quella creatura umana che Kafka trasforma in scarafaggio! Questo un po’ scarafaggio lo è già… Forse non ha bisogno di metamorfosi. E invece accade l’imprevisto: una collega d’ufficio, dai modi piuttosto disinibiti, gli offre (quasi per pietà?) l’occasione di qualche esperienza erotica; una faccenda di nessun impegno per lei, eppure un evento sismico per quell’anima solitaria, che scivola dall’innamoramento più infantile alla disperazione. Proprio quando perde ogni controllo e commette un’imprudenza che potrebbe essergli fatale, il nostro protagonista scopre che al mondo ci sono persino persone capaci di solidarietà e forse anche una donna con cui è possibile costruire un’esistenza più serena.

Ad essere sincero è proprio su questo frettoloso happy end che emergono le mie maggiori perplessità. Allora rifletto sugli aspetti più patologici del nostro protagonista, sulla partecipazione empatica a cui sono quasi costretti, sia autore sia lettore, e quindi sul peso che tutto questo può avere anche sul loro stesso umore. Eppure intravedo qui un segno dei tempi. La lunga stagione pandemica (ahinoi, non ancora conclusa) ha lasciato ovunque ferite profonde e ha seminato solitudine e depressione in tutti gli umani, compresi noi due. Da questa condizione storica nasce, credo, in tutti noi l’aspirazione a un cambiamento epocale, a una necessaria metamorfosi alla rovescia: da scarafaggi a essere umani. Forse soltanto un’illusione, un miraggio… Chissà?

Ora però sento il bisogno di lanciarti una sfida, che forse (dati i tempi) potrebbe avere per entrambi un valore terapeutico. Prova a misurare le tue capacità narrative con vicende e personaggi radicalmente diversi: prova a pianificare, in romanzi o anche in brevi racconti, storie meravigliosamente folli che provochino maliziosi sorrisi o gigantesche risate. Storie comiche o tragicomiche, storie allegre e paradossali, demenziali e irresistibili, ma lontane da questa stagione depressa. Sono certo che ne sei capace.

Ti saluto, con la gratitudine e la simpatia di sempre.

Sergio Cioncolini, Una donna fa l’uomo bello, Edizioni Pendragon, Collana Linferno, 222 pagine, € 15