Così, d’emblée, a metà dello scorso agosto compare sulla Hackney Gazette londinese un annuncio pubblicitario intestato Hackney Diamonds – Specialists in Glass Repair:

Opening our new store on Mare Street, September 2023. Our friendly team promises you satisfaction. When you say gimme shelter we’ll fix your shattered windows ” (Il nostro amichevole team ti promette soddisfazione. Quando dici dammi un riparo, ripareremo le tue finestre rotte).

All’occhio perspicace non sfuggono satisfaction, gimme shelter e shattered, ossia i titoli delle 3 canzoni rispettivamente pubblicate nel 1965 sull’ellepì Out Of Our Heads, nel 1969 su Let It Bleed e nel 1978 su Some Girls. E tantomeno può sfuggire la leggendaria tongue disegnata nel 1971 da John Pasche e strategicamente posizionata sulla “i” di Diamonds.

L’eternità di 18 anni dopo l’ultimo disco d’inediti A Bigger Bang, i Rolling Stones sono ritornati con Hackney Diamonds che nel gergo di East London sta a indicare il vetro frantumato durante una rapina. “Would you let your daughter go with a Rolling Stone? ” (Lascereste uscire vostra figlia con un Rolling Stone?), ebbe a pubblicizzarli agli albori degli anni 60 il produttore discografico Andrew Loog Oldham per metterli in contrapposizione, sporchi e cattivi, a quelle anime candide dei Beatles. Passato a miglior vita Brian Jones nel 1969, fuori dal gruppo Mick Taylor nel 1974 e Bill Wyman nel 1993, volato in cielo Charlie Watts nel 2021, stavolta a uscir fuori sono i redivivi Glimmer Twins: Mick Jagger (80 anni compiuti lo scorso 26 luglio) e Keith Richards (altrettanti da compiere il 18 dicembre) coadiuvati fin dai tempi di Black And Blue (1976) da Ron Wood, classe 1947. Fanno 236 anni in totale.

E pensare che nel 1974, 30enni chi più e chi meno, eseguivano quella gemma di Time Waits For No One (“Il tempo non aspetta nessuno/Non regala nulla/Il tempo non aspetta nessuno/E non mi aspetterà ”) consegnando ai posteri quel chilometrico, superbo assolo chitarristico di Mick Taylor. Memorabile poi Mick Jagger, che nel 1964 ha la sfrontatezza d’affermare: «Ai Rolling Stones posso concedere altri 2 anni al massimo»; per poi tornare sull’argomento nel 1972 con la promessa: «Quando arriverò a 33 anni smetterò. Quella è l’età in cui si dovrebbe fare qualcos’altro. Non potrei sopportare di finire come Elvis a cantare a Las Vegas con le casalinghe e le vecchiette che arrivano con la busta della spesa…».

Mick Jagger

Incuranti del tempo che passa e incuranti del tempo che ci hanno impiegato a realizzarlo («Siamo entrati in studio a dicembre, abbiamo inciso 23 pezzi, ultimati a gennaio e mixati a febbraio», ha dichiarato Jagger rimangiandosi le false partenze, i ripensamenti, l’intermezzo godutissimo del 2016 con Blue & Lonesome e le sue 12 cover di blues, il lockdown che nel 2020 ha fruttato la notevole Living In A Ghost Town e il decidere se proseguire o meno dopo la scomparsa di Charlie Watts), Hackney Diamonds magari non andrebbe confrontato con dischi come Tattoo You (1981) e tantomeno bocciato a prescindere, come mi è capitato di leggere in giro. A cominciare dalla fantastica Angry che testimonia lo storico valore della Track One, Side One secondo gli Stones, questi 12 pezzi dimostrano quanto i vegliardi siano ancora dinamici e vitali e quanto l’ugola (pur sempre giovane) di Jagger sia più che mai in posizione privilegiata.

Dedicated with love to Charlie Watts ”; prodotto da Andrew Watt e registrato a Los Angeles, Londra, le Bahamas e New York; special guest in ordine d’apparizione Elton John, Paul McCartney, Lady Gaga e Stevie Wonder; 8 brani composti da Jagger & Richards; Angry, Get Close e Depending On You da Jagger, Richards & Watt e Rolling Stone Blues da Muddy Waters, come da consuetudine stoneiana Hackney Diamonds alterna con mestiere rock, blues, pop, r&b, funky e country, ritmicamente decrittati da Steve Jordan, il drummer che ha sostituito Charlie Watts dopo aver affinato le bacchette negli X-Pensive Winos di Keith Richards.

Keith Richards

Infilzato dai proverbiali riff chitarristici e impregnato da un impertinente rock blues, Angry sfiora la perfezione della leggendaria Start Me Up togliendo subito ogni dubbio sulla credibilità e la tenuta della sessagenaria band. Spetta invece al piano di Elton John insinuarsi fra le versatili pieghe pop rock di Get Close, mentre Depending On You (sopraffina ballad) gareggia quasi alla pari con Angie e Wild Horses; e Bite My Head Off s’impenna “punkeggiando ” al wall of sound delle chitarre di Keith, Ronnie e Mick, con quest’ultimo a sollecitare con «Come on, Paul, let’s hear something!» un magistrale assolo al basso in distorsione di McCartney.

Nessun calo d’adrenalina e decibel nel cortocircuito rock di Whole Wide World, accessoriato da un orecchiabile refrain e poi la musica muta radicalmente pelle affidandosi con Dreamy Skies al country, orecchiando la Sweet Virginia Seventies dell’album Exile On Main St. 2 pezzi, incisi nel 2019, vedono all’opera Charlie Watts: il rock giostrato alla Jumpin’ Jack Flash (con imprevedibili incursioni nel funky) di Mess It Up e il rock blues di Live By The Sword, ben scandito dal pianoforte di Elton John e dal basso di Bill Wyman, per quella che è a tutti gli effetti l’ultima reunion dei Rolling Stones.

Ron Wood

Si prosegue rallentando per 3 volte: con Driving Me Too Hard, ballata che si palesa con un riff alla Tumbling Dice; con Tell Me Straight, ineffabile melodia affidata alla polverosa voce di Keith Richards e con i 7 minuti e passa di Sweet Sounds Of Heaven, asso nella manica di Hackney Diamonds: fenomenale gospel blues affidato alle “call-and-response vocals ” di Mick Jagger e di Lady Gaga con gli interventi al piano/Rhodes/Moog di Stevie Wonder.

Chitarra, voce, armonica a bocca e per finire in bellezza gli Stones tornano alle loro radici con Rollin’ Stone di Muddy Waters, anno di grazia 1950, ribattezzata Rolling Stone Blues. L’impressione del commiato definitivo è evidente, ma non è detta l’ultima parola: le pietre potrebbero rotolare ancora.