Il polistrumentista torinese Francesco Turrisi rientra da pochi giorni nella ristretta cerchia degli artisti italiani capaci di aggiudicarsi un Grammy Award, il premio più ambito e prestigioso dell’industria musicale americana: lo ha conquistato a fianco della statunitense Rhiannon Giddens grazie all’album They’re Calling Me Home, decretato vincitore nella categoria “Best Folk Album” durante la 64ma edizione della manifestazione. Vi riproponiamo la recensione pubblicata da CoolMag il 16 aprile 2021.
Circostanze e imprevisti, a volte, producono fortunati incidenti di percorso e piccoli miracoli. Rhiannon Giddens e il suo compagno Francesco Turrisi avevano pianificato un disco con un ensemble allargato e un viaggio in California, ma la pandemìa ha vanificato i loro progetti. Hanno dirottato le energie su un disco “fatto in casa” e a basso budget, They’re Calling Me Home, che come There Is No Other 2 anni fa è diventato un viaggio immaginario tra luoghi e culture; un modo per connettersi agli affetti e al passato nel momento in cui gli spostamenti fisici sono difficili e spesso impossibili. Ancora una volta, quel loro percorso storico e geografico ha svelato correlazioni sorprendenti tra musiche, ritmi, pensieri e sentimenti.
Rhiannon Giddens
Rhiannon, 44enne di Greensboro nel North Carolina; e Francesco, siciliano cresciuto a Torino, oggi vivono entrambi in Irlanda, tra Limerick e Dublino. Sono 2 espatriati, 2 musicisti dal background diversissimo ma che si capiscono all’istante. Dai tempi in cui si è fatta conoscere al grande pubblico con i Carolina Chocolate Drops, lei – armata di un vecchio minstrel banjo, di viole, violini e di un’incredibile voce – ha scardinato stereotipi (1° fra tutti: che il country e il bluegrass siano sempre stati una prerogativa della razza bianca) dimostrando di poter cantare e suonare di tutto: Bob Dylan e Charles Aznavour, l’opera che ha studiato da ragazza al Conservatorio e E se domani di Mina (eseguita più volte dal vivo in Italia), alternando progetti che rivendicano alle donne e alla comunità afroamericana il loro ruolo nella storia, nella società e nella musica statunitense (bellissimo quello delle Our Native Daughters con Leyla McCalla, Allison Russell e Amythyst Kiah) a collaborazioni “còlte” come quella con il violoncellista classico Yo-Yo Ma. Turrisi, che suona pianoforte, fisarmonica e una gamma assortita di tamburelli e percussioni a cui dà voce con abilità impressionante, ha una natura ancora più onnivora e un curriculum che include jazz e musica antica, avanguardia e musica popolare di ogni parte del mondo.
Francesco Turrisi
In They’re Calling Me Home, registrato in 1 settimana in una fattoria alle porte di Dublino, hanno raccolto 10 canzoni e 2 strumentali che evocano il richiamo della terra d’origine e quello della vita ultraterrena, il tema della lontananza, dell’amore e della morte intrattenendo una intima conversazione cui hanno invitato a partecipare anche un paio di ospiti: con le corde di nylon della sua chitarra, il congolese Niwel Tsumbu suggerisce la Madre Africa come possibile approdo della Avalon e dell’”altro mondo” raccontato dalla letteratura legata al mito del Re Artù, mentre il timbro squillante del suo strumento guida la danza in un flessuoso strumentale che lo cita per nome; insieme alle foto di copertina che li ritraggono a passeggio in paesaggi verdi e solitari, i flauti e le uillean pipes di Emer Mayock ci ricordano invece che l’Irlanda, i suoi suoni e le sue suggestioni sono parte integrante del loro attuale universo sonoro.
Spontaneità e stringatezza sono prerogative costanti del fare musica del duo, che qui aggiunge alla sua strumentazione anche una chitarra battente, antico strumento a corda che è un retaggio della tradizione musicale popolare centro meridionale italiana: in una sola, magica take hanno registrato Sì dolce è’l tormento, il madrigale monteverdiano che Rhiannon fraseggia con timing perfetto e sapiente gestione delle pause, impeccabile pronuncia italiana e una passione tanto più straziante quanto più contenuta: nessuno sfoggio di inutili virtuosismi, nessun formalismo o esercizio di stile. Turrisi ne doppia la voce in una ninna nanna (Nenna Nenna) in dialetto pugliese che era solito cantare alla sua bimba piccola e che ha ripreso dal repertorio del tenore Pino De Vittorio, qui proposta in una versione a cappella grave e quasi minacciosa, ma per il resto sono le orgogliose radici afroamericane di Rhiannon (padre bianco e madre nera) a venir fuori, tra una manciata di composizioni inedite e una selezione di “vecchie, tristi canzoni” del repertorio old time music e di pubblico dominio che da tempo aveva escluso dal suo repertorio.
Calling Me Home, scritta dalla cantante, banjoista e chitarrista bluegrass (bianca) Alice Gerrard, è un accorato ma sereno addìo alle spoglie mortali e una perfetta ouverture a pezzi come I Shall Not Be Moved – celebre inno pentecostale che Rhiannon aveva appreso dal leggendario violinista nero bluegrass Joe Thompson, interpretato nel passato remoto e recente da Charley Patton, da Mississippi John Hurt, da Ella Fitzgerald, da Joan Baez, da Mavis Staples e perfino dal Million Dollar Quartet composto da Elvis Presley, Jerry Lee Lewis, Carl Perkins e Johnny Cash – o l’altrettanto nota Waterbound, dove l’agognato ritorno alla natìa North Carolina assume una valenza universale grazie alle corde africane di Tsumbu.
Nella spettrale O Death, folk song degli anni 20 del secolo scorso che il veterano Ralph Stanley fece conoscere al grande pubblico una ventina d’anni fa grazie alla colonna sonora del film Oh Brother, Where Art Thou?, la Giddens si appoggia al ritmo di 1 solo tamburo e sovraincide 3 parti vocali con effetto drammatico e sconvolgente: come una Odetta del 21° secolo, sprigiona un pathos e una selvatica potenza che scuotono le viscere e toccano corde profonde; in When I Was In My Prime, al contrario, arpeggia su tonalità acute e delicate mentre la sua assoluta padronanza della voce è confermata da una sommessa ma efficace interpretazione a bocca chiusa di Amazing Grace, il celeberrimo inno cristiano del 700 diventato quasi un 2° inno nazionale negli Stati Uniti e che qui si apre al suono delle cornamuse irlandesi della Mayock.
È il degno epilogo, assorto e a luci basse, a un disco che non suona mai come un’operazione intellettuale o la messa in pratica di una progettualità studiata a tavolino. Giddens e Turrisi ci mettono non solo una profonda conoscenza delle musiche del mondo ma soprattutto se stessi e il loro vissuto, la loro voglia di tornare a viaggiare, suonare davanti a un pubblico, abbracciare i loro cari, inglobando inni e spiritual, barocco e folk song, America e Italia, Africa Centrale e Irlanda. Ingredienti di un sound atavico ma contemporaneo, tappe di un percorso terapeutico che realizza gli obiettivi e le speranze dichiarate: riempire un vuoto, creare empatìa, procurare conforto.