Potete ancora trovarne qualche copia su Discogs. Se volete, fate vostre senza indugi queste Bowie Variations For Piano incise nel 2011 da Mike Garson. Sì, lo straripante piano man che nel 1973 incide al 1° tentativo lo sconvolgente assolo che citando la Rhapsody In Blue gershwiniana – e ingaggiando un duello col basso di Trevor Bolder – fa da spina dorsale di Aladdin Sane, dall’omonimo ellepì di David Bowie. Garson lo ammette ogni volta: «Quel dissonante assolo fu uno di quei colpi di fortuna che ti capitano una sola volta nella vita».
Mike Garson e David Bowie ai Sigma Sound Studios di Philadelphia, 1975
Dopo quella performance talentuosa e istintiva, il newyorkese che era stato ingaggiato nel 1972 da Bowie per suonare giusto le 8 settimane del 1° tour americano e poi stop, è diventato “il” suo pianista: imprescindibile nei solchi di Pin Ups, Diamond Dogs e Young Americans, accantonato senza troppi complimenti, ri-arruolato in dischi come Black Tie White Noise, 1.Outside, Earthling e Reality. Bowie, alla fine, s’è reso conto di non poter fare a meno di questo virtuoso dei tasti bianchi e neri che aveva studiato composizione classica con Leonard Eisner; debuttato nel jazz con Bill Evans, Herbie Hancock e Lennie Tristano; sperimentato con Annette Peacock e preso una momentanea sbandata per il country-rock, per poi tornare sulla retta via jazzistica. Nonostante abbia registrato dal 1979 al 2008 Jazzical, Serendipity, A Gershwin Fantasia, Homage To My Heroes e Lost In Conversation, lui continua ad essere voluttuosamente/masochisticamente succube della, per così dire, “maledizione bowiana“: anzichè identificarlo come solista, si è cioè portati a ricordarlo a un’incollatura da Ziggy Stardust e poi dal Thin White Duke, fino al Reality Tour (2003) che ha sortito un Bowie desaparecido per 10 anni.
Sparito il Duca, ecco nel 2011 l’occasione giusta per rimettersi in gioco snocciolando assoli in libertà. Macchè. Mike Garson ha assemblato The Bowie Variations For Piano, disco pieno d’emozioni che mitizza schegge d’un repertorio già di per sé onusto di gloria. Prestate ascolto, al suo pianoforte, mentre pizzica con una pioggia di note l’indimenticabile puzzle melodico di Space Oddity; tramuta in swing il glam rock di John, I’m Only Dancing; fa il restyling più intimista che si può a Life On Mars?; stravolge Heroes a colpi d’honky-tonk; denuda Ashes To Ashes fino a renderla un impalpabile sogno; si mette a rallentare Changes per poi darle la scossa in chiave kabarett; prende il funky di Let’s Dance, lo azzera e lo rilancia in jazz e in blues; prende 3 pezzi non troppo conosciuti (Battle For Britain, The Loneliest Guy, la superlativa Bring Me The Disco King) e ne fa un medley chiaroscurale; sceglie Wild Is The Wind (portata al successo nel 1959 da Nina Simone, reinterpretata nel 1976 da Bowie in Station To Station) e la riempie fino all’orlo di atonalità.
«Non può che somigliargli», dice il funambolico Mike a proposito di A Tribute To David, pezzo composto in suo onore che svela quel certo nonsoché di malinconico. Appunto. Garson & Bowie sono stati 2 gocce d’acqua.