Che esprima con quell’«okay» sibilato a fior di labbra un malcelato nervosismo, è sin troppo evidente. Vi basterà ascoltare i primi accordi di Perfect Day, pezzo comunque destinato a un luminoso futuro tra i solchi dell’album Transformer. È un Lou Reed sul filo del rasoio, della serie “o adesso, o mai più”, colui che il 27 ottobre 1971 fa il suo ingresso in un piccolo locale sulla Quarantaquattresima Strada di New York per la prima session di registrazione della sua carriera solista. Si tratta dello Studio E – parte della struttura inaugurata dalla RCA Records a un isolato da Time Square – di solito riservato alle sovraincisioni ma più che adatto alle demotape di pre-produzione per l’Lp di debutto dell’ex Velvet Underground.
Lou inizia a cantare e a suonare su un nastro a 2 tracce. Nell’incipit di Perfect Day prende una brutta stecca con la sua chitarra acustica, si blocca all’improvviso ed esclama: «Cazzo, mi dispiace tanto. Tralascerò i passaggi di chitarra complicati, okay?». Il mondo sta per franargli addosso, al cospetto dei 2 ingegneri del suono e del suo nuovo produttore discografico, il giornalista rock e dj Richard Robinson che tanto si sta spendendo per riportarlo sulle scene rivitalizzando, ma soprattutto rendendo di nuovo credibile, la sua carriera. Lou, a quel punto, trova la forza di resettare se stesso, tramuta Perfect Day in magia pura e procede brano dopo brano nell’intimista, solitaria, crepuscolare scalata unplugged testimoniata da I’m So Free: The 1971 RCA Demos, edizione limitata di 7.500 copie in vinile sortita nel Record Store Day 2022.
Poco più di 1 anno prima, la sera del 23 agosto 1970, il singer-songwriter aveva abbandonato al loro destino i Velvet Underground subito dopo il concerto al Max’s Kansas City. Psichicamente a pezzi, disgustato dalla svolta commerciale di un album, Loaded, che a suo dire era stato manipolato a propria insaputa soprattutto in Sweet Jane, Rock and Roll e New Age, si era masochisticamente esiliato dai genitori a Long Island e pur di racimolare qualche dollaro aveva accettato di lavorare come dattilografo dal padre fiscalista. Una manciata di giorni appena ed ecco che si ritrova a reinventarsi in studio, teso come una corda di violino ed emozionato come un absolute beginner.
Nella loro scheletrica naïveté, le 13 tracce di I’m So Free sono un piccolo, inestimabile tesoro nel CV loureediano che da Perfect Day (splendida versione, davvero) in poi svela l’impeccabilità di una I’m So Free in trepida attesa, anch’essa, di essere accolta in Transformer; di una grande canzone come Wild Child; della velvettiana I’m Sticking With You, stavolta (e per fortuna) non cantata dalla batterista Maureen Tucker; di ballate del calibro di Lisa Says, Going Down e I Love You; di una New York Telephone Conversation che in Transformer acquisirà la sua logica identità “camp”; di She’s My Best Friend e Kill Your Sons, che si guadagneranno spazio dentro Coney Island Baby (1976) e Sally Can’t Dance (1974); di una maiuscola Berlin e di altri 2 classici dei Velvet, Ocean e Ride Into The Sun.
Gli RCA Demos daranno i loro frutti nel 1972. Sicchè al flop di Lou Reed (700 copie vendute, reo di avere “rimasticato” e mal digerito i Velvet Underground) corrisponderà il tripudio glam rock di Transformer, inciso a Londra, complice la produzione di David Bowie e Mick Ronson.