Dal turno di notte, Ribolatti rincasò più stravolto del solito. La continua lotta in corsia gli aveva spezzato i nervi, negli ultimi quattro mesi, e la sua mente stava cedendo, con violenta facilità, alla fatica, alla paura… al dolore. In genere l’unico sollievo, quando finalmente poteva rientrare dall’ospedale, era camminare trafelato su e giù nel salone. Così scostò sia tavolini che poltrone, anche quel mattino, e aprì la finestra per avere un po’ d’aria; solo che il bagliore intenso del cielo, un cielo che prese subito a passargli con insistenza davanti agli occhi, lo accecò d’impeto, suscitandogli un rigurgito di rabbia che lo spinse ad affacciarsi.
«Lo so!» –gridò Ribolatti alle villette intorno, sparse lungo un pendio delle Retiche– «Voi coglioni dediti al televisore, credete ai virologi di Bruno Vespa, e quindi al famoso salto di specie dai pipistrelli all’uomo! Ma la verità è un’altra: quelli che si sono ammalati di covid sono vampiri, in realtà. Schifosi vampiri! Perciò nessun salto di specie. Anzi!».
Rifiatò un attimo, per aggiungere a squarciagola: «Gran coglioni, andate dal falegname o nel bosco a comprare o fabbricarvi un paletto di frassino! Poi tornate a casa e se nel vostro nucleo familiare c’è per caso qualche guarito, trafiggetegli il cuore!».
Ormai era in preda ad una furia delirante: ad un autentico accesso di follia, insomma.
«E non dimenticate di trucidare anche i medici! Perché, sebbene la vostra tv adorata proclami il contrario, noi non siamo affatto eroi. Siamo traditori, invece! Adesso lo capisco! Traditori dell’umanità, che cercano di tenere in vita un branco di mostri assassini!».
Fu pronunciando queste parole che Ribolatti richiuse un battente della finestra, per colpirlo con tutte le forze. Il vetro esplose all’istante, e fra le schegge cadute sul pavimento del salone, colui che –prima d’impazzire– era stato un dottore esemplare, scelse la più lunga e aguzza.
«Somiglia ad un paletto, quasi», pensò ottenebrato, stringendola nel pugno coperto di sangue. E senza aspettare, se la piantò brutalmente in un occhio, mentre il suo cuore si riempiva di lacrime.

                © Pietro Pancamo

Poeta, novelliere, editor professionista, Pietro Pancamo è nato a Cuneo nel 1972. Suoi testi sono apparsi sul Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, la Repubblica, La Stampa, Poesia (Crocetti Editore), Atelier, Gradiva, Poetarum silva, Carmilla, Il Ridotto, Il Paradiso degli Orchi, FantasyMagazine, IF. Insolito & Fantastico, Vibrisse, El Ghibli, Cronache letterarie, Scriptamanent (Rubbettino Editore), Suite Italiana, Diogen (rivista di Sarajevo, fra le più importanti d’Europa). Cura la sezione poesia del mensile italo-olandese Il Cofanetto Magico, conduce la rubrica letteraria (Pod)cast away su Maratea Web Radio. Oltre ad aver fondato e diretto il portale culturale L(‘)abile traccia (citato nel 2007 in un volume della Zanichelli), è stato direttore editoriale della rivista internazionale Niederngasse, caporedattore per la poesia dell’e-zine Progetto Babele, redattore di Viadellebelledonne (blog letterario fra i più seguiti in Italia).