Se è vero che già da parecchio tempo le neuroscienze sono di grande attualità (si potrebbe dire di moda), è naturale che l’editoria ci si sia buttata a capofitto pubblicando molti libri, alcuni magari non proprio essenziali. Ma questo lavoro non è solo importante; è anche terribilmente indispensabile. Una lettura difficile? Neanche per sogno! Complessa magari sì. Ma la complessità, se affrontata con il piglio giusto, è ben più appassionante di una semplicità banale oltreché falsa. L’autore di Lo strano ordine delle cose è uno dei neuroscienziati più noti al mondo: portoghese di origine, da molti anni lavora in California e ha già fatto parecchie puntate anche in Italia, dove a dispetto dei miserabili finanziamenti dei nostri governi sono state compiute importanti ricerche su questo campo. Per qualsiasi lettore che si ritenga ignorante ma curioso, Antonio Damasio è innanzitutto uno scrittore e un conferenziere di indubbio fascino.
“Chiederò al lettore di mettere per un attimo da parte la mente e il cervello dell’uomo, e di considerare la vita batterica”. Inizia così uno dei capitoli della prima parte: La vita e le sue regolazioni. A me piacciono gli scienziati che si rivolgono ai lettori, come piuttosto sono soliti fare i romanzieri; ma certo è sorprendente (e anche un po’ minaccioso) proporre un flashback di 4 miliardi di anni, fino alle origini della vita sulla Terra. Le sorprese tuttavia non finiscono qui, perché queste incredibili entità monocellulari (appunto i batteri) sono ancora fra noi in quantità incalcolabili e, secondo Damasio, il segreto del loro successo sta nella loro, seppur primitiva, intelligenza. Ecco una prima parola che andrebbe ridefinita: intelligenza.
Si procede così gradualmente nel lungo percorso dell’evoluzione biologica, che porta al formarsi dei primi sistemi nervosi (circa 600 milioni di anni fa) fino al primate chiamato homo sapiens (50.000 anni fa) che si potrebbe ipotizzare come un altro inizio… E passo dopo passo “la vita si fa mente”, lo strumento si trasforma, diventa sempre più complesso, dando luogo a diverse forme culturali e sociali e al grande enigma della coscienza.
Ad essere sinceri, ogni volta che mi capita d’incontrarmi con il concetto di evoluzione mi torna in mente Kurt Vonnegut (scrittore e umorista fra i miei preferiti) e una sua feroce battuta: «Per quanto mi riguarda, la teoria dell’evoluzione può andarsene affanculo. Noi siamo un errore madornale. Abbiamo ferito a morte questo bel pianeta…». Il mio è una specie di riflesso condizionato; il che non m’impedisce di avere il giusto rispetto per una cosa seria come la teoria evoluzionistica e per la santa barba di Charles Darwin. Comunque, tornando agli argomenti di Damasio, un concetto che domina in tutte le fasi del suo percorso è quello di omeostasi: parola difficile, anche questa da ridefinire. Con questo termine si allude a tutte le reazioni, a tutti gli sforzi per mantenere uno stabile equilibrio vitale; in termini assai rozzi, una sorta d’istinto di conservazione che agisce in ogni cellula come nell’intero corpo di ogni essere vivente (animale o vegetale che sia). Dunque, l’imperativo omeostatico in difesa della sopravvivenza del singolo individuo e della propria specie è presente in qualsiasi forma di vita; ovviamente in modi diversi, perché i meccanismi omeostatici agli inizi della vita sulla Terra non sono gli stessi di una mente evoluta (animale o umana) dei nostri giorni. Perciò lo studioso portoghese non tralascia mai l’importanza della omeostasi, protagonista indispensabile di ogni fase dell’evoluzione della mente. A questo punto mi viene da pensare a un momento magico di questo infinito percorso: a quel primate che per primo si alza sugli arti inferiori e decide di diventare bipede e muoversi nel mondo. Chissà quale ruolo ha avuto l’omeostasi e quale la follia, o almeno lo spirito d’avventura?
Ci sono poi altre parole che, alla luce delle ricerche di Damasio, meritano di essere ridefinite. Fra queste la più importante è probabilmente sentimento: stavolta, verrebbe da dire, una parola facile. Sì, ma fino a un certo punto… In realtà Damasio è uno scienziato anomalo, che fin dalle prime pagine avvisa il lettore di essere convinto che “le scienze da sole, senza la luce che viene dalle arti e dalle discipline umanistiche, non possono illuminare la totalità dell’esperienza umana”. Un simile scienziato può dunque arrivare a sostenere che la nostra civiltà abbia sopravvalutato quel prezioso insieme di regole logiche chiamata ragione; e abbia invece trascurato l’importanza del sentire (dolore, piacere, etc), ingrediente essenziale per la costruzione di ogni attività mentale e di ogni vita. Questione di feeling… Ovviamente i sentimenti possono (e devono) collaborare con la ragione, ma hanno ben altra concretezza: sono cioè fenomeni naturali del corpo interconnesso con la mente; e dunque espressioni della stessa omeostasi. È proprio in questo nodo fondamentale, nei sentimenti elaborati dalla ragione e dall’immaginazione creativa, che si palesano le origini biologiche della cultura.
Qui la mente (la mia) divaga ancora in un territorio quanto mai ambiguo e inesplorato: mi chiedo se non sarebbe il caso di riflettere sullo scarso peso che per secoli è stato dato alla creatività femminile, più intuitiva di quella maschile e più attenta ai sentimenti. Ma qualcosa credo stia già cambiando anche in questo senso: basti pensare al riemergere di un mito come la grandissima Jane Austen: l’autrice, guarda caso, di un romanzo intitolato Ragione e Sentimento.
Nella seconda parte di Lo strano ordine delle cose, si affronta il tema della costruzione e dell’attività delle menti culturali; e quello dell’attuale civiltà ipertecnologica, dove gli uomini dovranno escogitare un severo controllo sulle macchine intelligenti per evitare che impongano il loro dominio (chi non ricorda l’incubo del computer ribelle HAL in 2001 Odissea nello spazio?). E non è difficile capire che quest’ultimo, tremendo pericolo dipende dal fatto che l’intelligenza delle macchine è priva di qualsiasi capacità emotiva, di qualsiasi sentimento. Saper connettere ragione e sentimento, mente e corpo, credo che sia (almeno per ora) un’esclusiva degli esseri viventi. Già in uno dei precedenti saggi di Damasio, intitolato L’errore di Cartesio, era stato messo a punto un principio basilare delle neuroscienze, cioè the mind is enbodied: la mente è incorporata, è un tutt’uno con il corpo. Può sembrare persino un’ovvietà, ma proviamo a riflettere sull’incredibile lavoro che svolge il cervello con tutto il sistema nervoso diffuso in ogni parte del nostro corpo. Quel chilo e mezzo scarso di materia grigia, con miliardi di cellule iperconnesse, compie continuamente una specie di miracolo trasformando in conoscenza tutte le informazioni provenienti dai nostri sensi. Niente di più concreto, di più attinente alla materia di cui siamo fatti.
A questo punto si può comprendere perché le ricerche compiute lungo l’ultimo mezzo secolo nel campo delle neuroscienze abbiano contribuito a rivoluzionare tutti i saperi: dalla filosofia alla psicologia, dalla sociologia alla linguistica. Certo tutto ciò è molto complesso, perché complesso è il cervello di noi animali imperfetti ma indubbiamente evoluti. E per esporre con chiarezza una tale complessità ci vogliono studiosi con il talento di Antonio Damasio, il quale si permette una grande libertà immaginativa ed è capace di coniugare piacevolmente le certezze scientifiche con il suo vasto patrimonio culturale. Non sono molti gli uomini di scienza capaci di una scrittura che a tratti sa persino emozionare (qui il pensiero corre alla splendida prosa di Galileo Galilei) e che mostrano di essere colti ma senza spocchia né inutili esibizionismi. Damasio ci regala poche citazioni, ma tutte molto funzionali. La mia preferita è questa, del poeta Fernando Pessoa nato come lui a Lisbona: “Io non so quali strumenti, violini e arpe, timpani e tamburi, suonino e risuonino dentro di me. Io mi conosco solo come una sinfonia”. Cosa c’è di meglio per alludere alla complessità della mente?
Antonio Damasio, Lo strano ordine delle cose, Adelphi, 352 pagine, € 29