Seduto in casa, lo scrittore fallito passa la giornata davanti alla finestra, fissando atono i brevi pendii, bruschi e campagnoli, del Colle Santo. Guardalo quant’è vicino! E che spazio esiguo, in cima! È davvero angusto, quasi nullo. Ecco perché – quando partecipa smorto alle riunioni del suo circolo letterario – lo scrittore fallito recita spesso, lì sul palco del teatrino parrocchiale, versi avviliti come questi:

«Non c’è spazio
nella vita del mondo.
Non c’è spazio;
non l’ho trovato: e quindi muoio,
lentamente,
per fallimento.
È una morte davvero estenuante
e mi trascino
solo in memoria di un ricordo».

A volte, però, si riscuote dalla sua apatia e si abbandona a pianti dirotti, singhiozzando per esempio:

«Sì, ero ambizioso:
volevo un piedistallo.
Ma dopo il primo fallimento,
irato con me stesso,
mi son tramutato
in un suicida seriale,
che in ogni occasione
si negava la benché minima
opportunità di successo.
Inevitabilmente
è allora intervenuta, ahimè, la depressione
(in preda alla quale,
invece d’un piedistallo,
mi son beccato uno stallo:
infatti al momento
– fiume o cappio magari? –
non so più a che morte votarmi)».

Infine una sera, con gli occhi scintillanti di delirio, lo scrittore fallito rinuncia alla poesia, per mettersi a declamare un po’ di fantascienza strampalata, frutto di nozioni imprecise e “approssimate per difetto”: «Secondo il professor Neil Turok, esiste un cosmo parallelo che comunica col nostro attraverso i buchi neri – nei dintorni dei quali, raccontano gli astrofisici, lo spazio di norma accelera fino a velocità superluminali, mentre il tempo rallenta e poi si ferma; quindi lo spazio entra di filato nei buchi neri, ma il tempo ne resta fuori, completamente immobile. Forse tutto ciò è la prova inconfutabile, ipotizzo io, che i buchi neri sono un sistema di filtraggio appositamente ideato, dagli abitanti dell’universo parallelo, per separare, qui da noi, lo spazio dal tempo (due entità che, nel nostro continuum, sono sempre intrecciate strettamente). E se dall’altra parte non vogliono il tempo, è perché, magari, il loro universo è fatto di eternità; se così fosse, allora quell’universo potrebbe essere il Paradiso e i buchi neri, più che un filtro, una sorta di clessidra, progettata da Dio per cancellare gradualmente il nostro mondo; intendo dire che il giudizio e decesso escatologico annunciato dall’Apocalisse probabilmente avverrà alla fine dello spazio (non dei tempi, come noi crediamo erroneamente). Intanto quell’energia oscura, che allarma senza posa i nostri scienziati col suo costante e inarrestabile incremento, è, suppongo, il vuoto sempre più ampio che lo spazio si lascia dietro, man mano che i buchi neri lo trascinano via».

Ed anche lui, all’improvviso, si sente trascinato. I suoi piedi, accelerando fino a velocità superluminali?, scendono dal palco e si ritrovano in un baleno sulla cima del Colle Santo… dove, subito dopo un crocifisso, non c’è spazio: non c’è spazio che per un precipizio.

© Pietro Pancamo

Poeta, novelliere, editor professionista, Pietro Pancamo è nato a Cuneo nel 1972. Suoi testi sono apparsi sul Corriere della SeraIl Fatto Quotidianola RepubblicaLa StampaPoesia (Crocetti Editore)AtelierGradivaPoetarum silvaCarmillaIl RidottoIl Paradiso degli OrchiFantasyMagazineIF. Insolito & FantasticoVibrisseEl GhibliCronache letterarieScriptamanent (Rubbettino Editore)Suite ItalianaDiogen (rivista di Sarajevo, fra le più importanti d’Europa). Cura la sezione poesia del mensile italo-olandese Il Cofanetto Magico, conduce la rubrica letteraria (Pod)cast away su Maratea Web Radio. Oltre ad aver fondato e diretto il portale culturale L(‘)abile traccia (citato nel 2007 in un volume della Zanichelli), è stato direttore editoriale della rivista internazionale Niederngasse, caporedattore per la poesia dell’e-zine Progetto Babele, redattore di Viadellebelledonne (blog letterario fra i più seguiti in Italia).