Questo è un disco che parte ad handicap, per la magica coppia Eno & Byrne. Duo che in passato ha licenziato Lp come Fear Of Music (1979) e Remain In Light (1980) con i Talking Heads; ha tracciato nuove vie musicali a mo’ di autostrade a 4 corsie; oppure My Life In The Bush Of Ghosts (da salvare in caso d’incendio), inciso a loro nome nel 1981: album che è stato, è e sarà seminale da qui fino all’eternità. Uscire quindi con un disco come American Utopia composto da canzoni cosiddette “normali”, rischia di far credere erroneamente di trovarsi al cospetto di un disco di passaggio; tant’è che spingerà magari qualcuno a ignorarlo: ma almeno voi, cari lettori, non fatelo. American Utopia è sì intestato a David Byrne, ma il nostro l’ha interamente composto con Brian Eno: quindi mi piace pensare a un album inciso a 4 mani, anche se la mano di Eno la si riconosce soprattutto negli arrangiamenti e nei suoni che tendono a destabilizzare le melodie di tipica osservanza byrniana. Melodie dolci, struggenti, a volte ironiche, che farebbero gridare al miracolo se il suddetto canzoniere fosse firmato da un esordiente.

L’apertura è affidata a I Dance Like This: letteralmente 2 brani divisi, diversi e lontani che i nostri riescono magistralmente a incastonare in un solo pezzo. La melodia di Byrne, pianoforte e voce, viene stravolta, riproposta e nuovamente stravolta dagli interventi e dai cambi di tempo di Eno regalandoci 3 minuti e 33 secondi di pura arte. Si prosegue con Gasoline And Dirty Sheets e con Every Day Is A Miracle: e qui, per quelli della mia generazione, sono occhi lucidi per 2 gemme che paiono bonus tracks di True Stories (1986) o Naked (1988) dei Talking Heads. Segnalerei anche Everybody’s Coming To My House, ovverossia il proseguimento nervoso e ansiogeno (come Dio comanda) delle migliori teste parlanti di Remain In Light. Un discorso a parte lo merita Doing The Right Thing, proto-musical efficace e coinvolgente, vera pietra angolare di American Utopia dove tradizione compositiva e sperimentazione sonora convivono dispensando gioia assoluta. Insomma, un disco da amare come tutti gli album precedenti di questa coppia di geniacci. Un lavoro discografico che richiede più e più ascolti, ma che più e più volte saprà regalarvi emozioni.

… e dal vivo (in EP) è un’esperienza da non perdere

S’intitola “… The Best Live Show Of All Time” (da imparziale giudizio del NME) l’extended play di 6 brani registrato dal vivo il 16 e 17 settembre 2018 al Kings Theatre di Brooklyn (NY) ed è un succoso estratto dall’American Utopia Tour di David Byrne. Concerto stratosferico dal punto di vista concettuale (se la gioca alla pari con Stop Making Sense, epoca Talking Heads), musicalmente è un wall of sound che alterna scosse multietniche, blitz nella sperimentazione, minimalismo. Accanto a 3 pezzi estratti da quell’American Utopia architettato con Brian Eno (Every Day Is A Miracle, Everybody’s Coming To My House, Dog’s Mind) spiccano I Zimbra (strategicamente posizionato a mo’ di intro) e This Must Be The Place (Naïve Melody) selezionati dal repertorio dei TH, nonchè Toe Jam composto da Byrne insieme al beatmaker britannico Norman Cook aka Fatboy Slim. (S.B.)

Foto: © Jody Rogac