Ali dorate sfioravano il cielo in un volo leggiadro ed etereo.
L’arcangelo Gabriele toccò due o tre volte la spalla del compagno, per richiamare la sua attenzione.
Saturni angelo Minervio (cherubino di seconda classe, livello C, in attesa di promozione) sembrava rapito, estaticamente posseduto dallo spettacolo del sol calante.
“Minervio! O Minervio!”, l’apostrofò Gabriele, spazientito.
Il cherubino, perso nella contemplazione, impiegò qualche istante a tornare in sé.
“Eh?… Chi… Cosa… ” – balbettò, guardandosi intorno spaesato e battendo le palpebre a non finire – “Oh capo, mi scusi! Mi ero distratto un secondo. Mea culpa!”.
“Eh, Saturni Saturni… ” – fece Gabriele in tono di rimprovero – “Ti comporti come un cherubinetto in fasce! Ma lo sai o no che da questa missione dipende il tuo trasferimento al II cielo?! Te lo ricordi? Sì? E allora un po’ di responsabilità, che diamine!!”.
“Sì capo, lei ha ragione… ” – bisbigliò umilmente il povero Saturni – “ma vede: dopo un’intensa giornata di lavoro, io… ”.
“Certo, capisco. Capisco benissimo” – interloquì Gabriele – “Anch’io sono stanco! Il tramonto è bello e vien voglia anche a me di fermarmi a riposare e a contemplare. Però, Minervio caro, bisogna considerare che innanzi tutto c’è la volontà del Signore Boss Nostro: quindi, figliolo, noi non possiamo né dobbiamo distrarci, fino a che il nostro lavoro non sia compiuto. Il Boss ci ha confidato di tenere particolarmente all’anima che stiamo andando a prendere: perciò, mio diletto, ora più che mai è il momento di concentrarsi, di non smarrire la retta via e soprattutto di volgere la nostra mente a… ”.
Con sorriso ebete (e dunque beato), Saturni angelo Minervio, cullato dal santo discorso di Gabriele, si era nuovamente assorto nello splendore dei raggi sanguigni.
“Saaaatuuuurniiii!!!!” – urlò Gabriele, infiammato d’ira celeste – “Disgraziaaaatoooo!!!!”.
A queste tremende parole, Minervio, strappato brutalmente alla sua estasi, fece un balzo verticale di sei metri, scomparendo a capofitto in una nuvola.
“Esci di lì, maledizione!” – continuò Gabriele inferocito – “Ho appena detto che non ti devi distrarre e tu mi vai di nuovo a guardare il sole! Imbecille! Recuperare le anime dopo la morte era già difficile, ma da quando ci sei tu è diventato un inferno!!!”.
Beh, l’arcangelo Gabriele è forse un pochino irruento, ma bisogna riconoscere che non ha tutti i torti: perché recuperare le anime dei morti richiede proprio una pazienza di Giobbe e una fatica degna di Ercole. Queste anime non conoscono nulla dell’infinito. Abituate come sono alla vita, ritrovandosi all’improvviso nell’eternità, non sanno spiegarsi un tale passaggio; così rimangono frastornate, sconvolte e, nella maggior parte dei casi, impazziscono: danno in escandescenze e corrono qua e là per il mondo a combinare chissà quali disastri.
A questo punto è indispensabile l’intervento degli angeli, che devono convincere le anime impazzite a seguirli nel regno dei cieli e a non creare più magagne al povero Dio.
Ma, come ho già detto, la cosa non è facile: perché le anime resistono, fuggono e, sempre più spaventate dall’eternità che non capiscono, pur di non farsi acchiappare, ne combinano di tutti i colori! E i malcapitati angeli, per avere obbedienza, sono costretti quasi sempre (solo grazie a una terribile e titanica violenza sulla propria natura) ad abbandonare le amate buone maniere, per cominciare a menar botte da orbi e a usare camicie di forza.
Tutto ciò li lascia pieni di orrore e smarrimento, rendendoli (abbiamo visto) o spaventosamente distratti o ringhiosamente nervosi!
“Saturni!” – diceva, dunque, l’esasperato Gabriele – “Il Boss ci ha pregato di esser gentili con quest’ultimo spirito della giornata; e noi non desideriamo altro, vero Saturni?” – e qui Gabriele si commosse, cedendo quasi alle lacrime – “Ma questo lavoraccio infame ha fiaccato la nostra pura, angelica bontà e… ” – represse un virgineo singhiozzo e continuò cercando di riacquistare il suo tono di voce – “E per esaudire il nostro Boss dobbiamo quindi concentrarci e infonderci un poco di cortesia, garbo e gentilezza, altrimenti… ” – l’irritazione ebbe di nuovo il sopravvento – “…Altrimenti, ridotti come siamo, finiremmo per caricarla di mazzate quell’anima o per farcela scappare! E tu sai che questo non deve succedere: sarebbe il licenziamento per noi due!… Hai capito quel che ho detto? E dunque che aspetti ancora: la manna?! Scendi subito, dannazione!!”.
Tremante di paura, Minervio scese a zig-zag dalla sua nuvola, fermandosi proprio accanto a Gabriele.
Poi, imitando il suo capo, si raccolse in preghiera supplicando l’altissimo onnipotente bon Signore di conceder loro una scintilla, ma che dico!… un frammento, un nonnulla di purezza e candore.
Infine, entrambi rincuorati da quell’istante di commozione (o quasi disperazione…) si rimisero in viaggio verso il loro compito…
…Qualche battito d’ali più avanti, Gabriele gridava a Saturni angelo Minervio, con una stizza che grondava pece greca: “Ma sta’ attento a dove voli, perdio: possibile che tutte le nuvole siano tue?!!!”.
Su un lato della viuzza bianca di ciottoli, che si snoda alla periferia di una cittadina in riva al mare, la casetta di Noè pareva abbronzarsi all’ultimo sole. Un riflesso di luce sull’unica finestra sembrava una lacrima di sole, dimenticata nel vetro. Un raggio penetrava nella stanzetta buia e, giocosamente triste, pattinava sull’impiantito.
È l’anno 1990: che ci fa dunque Noè (proprio quello famoso) ancora vivo? Questo domandava e chiedeva Saturni angelo Minervio levitando accanto al lettuccio dove il vecchio, piccolo piccolo, stava morendo.
“Beh, non è il caso di arrovellarsi tanto!” – decise l’arcangelo Gabriele – “Il Boss ci dirà tutto quand’arriveremo. Intanto ringraziamolo per questa fortuna: guarda! l’anima di Noè, intontita dagli anni e dai secoli, esce svenuta dal suo corpo e nemmeno s’accorge di morire. Meglio per noi: così ce la prendiamo senza far tanto chiasso, per una volta… Accidenti: un corpo minuscolo e un’anima gigantesca! … mm… Vabò… Su Minervio, aiutami: afferrala per le ascelle che io la tengo per i piedi… Pronto? … Bene: allora uno, due… issa!”.
© Pietro Pancamo
Poeta, novelliere, editor professionista, Pietro Pancamo è nato a Cuneo nel 1972. Suoi testi sono apparsi sul Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, la Repubblica, La Stampa, Poesia (Crocetti Editore), Atelier, Gradiva, Poetarum silva, Carmilla, Il Ridotto, Il Paradiso degli Orchi, FantasyMagazine, IF. Insolito & Fantastico, Vibrisse, El Ghibli, Cronache letterarie, Scriptamanent (Rubbettino Editore), Suite Italiana, Diogen (rivista di Sarajevo, fra le più importanti d’Europa). Cura la sezione poesia del mensile italo-olandese Il Cofanetto Magico, conduce la rubrica letteraria (Pod)cast away su Maratea Web Radio. Oltre ad aver fondato e diretto il portale culturale L(‘)abile traccia (citato nel 2007 in un volume della Zanichelli), è stato direttore editoriale della rivista internazionale Niederngasse, caporedattore per la poesia dell’e-zine Progetto Babele, redattore di Viadellebelledonne (blog letterario fra i più seguiti in Italia).