C’è il mood danzante di Don’t Want To Know, sprigionato dalle chitarre funky; c’è il dinamismo rhythm & blues di N.Y.C.; ci sono Your Painted Smile e Chain Reaction, che cortocircuitano la memoria storica di Avalon; c’è la mediorientale Mamouna, che non teme alcun confronto coi Roxy Music vintage ; c’è l’incedere hitchcockiano di The 39 Steps; c’è Gemini Moon, che rinfocola il fascino della soul music.
Masterizzato da Bob Ludwig, festeggia 30 anni con invidiabile aplomb la musica fluttuante, liquida, ipnotica di Mamouna, il 9° album solista di Bryan Ferry che riuscì d’incanto a rimettere assieme – suggerendo un’impensabile rimpatriata roxyana – Brian Eno, Phil Manzanera e Andy Mackay. Anzitutto, però, nel 2° Lp (o 2° Cd, a voi la scelta) c’è il “lost album ” più vissuto, tribolato, stressato di Mr. Ferry: quel leggendario Horoscope che il dandy britannico iniziò a lavorare nel 1989 ma che mise da parte nel ‘92 per una raccolta di cover, Taxi, destinata a uscire l’anno successivo.
Bryan Ferry
A marzo del ’93 lo intervistai all’Hôtel Lancaster di Parigi, distante un soffio dagli Champs-Élysées: «Horoscope è indubbiamente valido anche se non facilmente memorizzabile», tenne a precisarmi. «L’ho solo messo in standby e quanto prima lo riprenderò in fase di missaggio. Forse è proprio per la sua non immediata fruibilità che ho preferito dedicarmi a Taxi, utilizzando un 24 piste analogico come ai tempi dei primi Roxy Music».
Alla ricerca della perfezione assoluta e determinato a guarire da quella Sindrome di Avalon che gli faceva ossessivamente replicare disco dopo disco le melliflue atmosfere di quell’album, Bryan Ferry fece di tutto per “esiliarsi ” nel suo studio londinese senza manager né produttore discografico e creò dal nulla, al pianoforte, 56 tracce strumentali nella convinzione di essere «il Duke Ellington di qualunque cosa». Sicchè Horoscope prende vita in un triennio, ma viene scartato perché «troppo pignolo, troppo complicato, troppo denso».
Nulla di tutto ciò. Il predecessore di Mamouna, diciamolo chiaro e tondo, è un capolavoro di eleganza, di evanescente sperimentazione, d’inesauribile verve compositiva: ascoltate le prime versioni di Where Do We Go From Here (la futura The 39 Steps), di The Only Face, di Gemini Moon e di Desdemona (poi N.Y.C.), tentacolare urban soul che culmina nei versi “Take the A train / New York City / I can hear ya / All the things you are / Fly to Birdland / New York City / Desdemona ”. 4 incisioni che troveranno spazio fra i solchi di Mamouna. Eppoi gustate, mirabilmente “in nuce ”, S&M (Midnight Train) e Loop De Li che ritroveremo, modificate, nell’album Avonmore del 2014.
Dopodichè domandatevi, increduli, per quale oscuro motivo Bryan Ferry abbia deciso di escludere da Mamouna l’ipnotico funk di Raga e la magistrale rivisitazione in chiave funky di Mother Of Pearl (gioiello di Stranded dei Roxy Music, 1973), inizialmente destinata alla colonna sonora del film Basic Instinct e poi entrata nella soundtrack di un’altra pellicola, Ordinary Decent Criminal del 2000.
In compenso beatevi con Sketches, il 3° Cd (non Lp) che raccoglie quei demotape e quegli inediti che hanno creato i presupposti di Mamouna («I demo che registro tendono a diventare i master», dichiarò Ferry nel 1993 al mensile Creem. «Sono sullo stesso nastro e attorno a loro cresce semplicemente più foliage»). Un fogliame lussureggiante, a giudicare dalla versione strumentale di Mamouna intitolata Friday e da quella di Your Painted Smile (Levy); dallo strumentale Robot, destinato in Avonmore a farsi One Night Stand; da The Only Face e di nuovo Your Painted Smile piano and vocal ; da Desdemona/N.Y.C., impeccabilmente sostenuta dal basso di Guy Pratt e dalla chitarra funky di Nile Rogers, all’elettronica strumentale di Horoscope. Certo che sì, questa è musica da non perdere per nessuna ragione al mondo.