Ai 2 fratelli tutt’altro che coltelli piace essere classificati come “keyboardist, songwriter, moustache ” e come “singer, charismatic, Looks-Looks-Looks ”: titolo, quest’ultimo, di 1 brano dell’Lp Indiscreet (1975) che fra i suoi versi migliori annovera “You had sense, you had style, you had cash galore ”, (“Avevi senso, avevi stile, avevi soldi in abbondanza ”), che dà già l’idea dell’innato senso dell’umorismo da sempre copyright dell’ultradinamico duo.
I tasti del pianoforte e i baffetti da sparviero sono di Ron, classe 1945; il timbro vocale in falsetto e il carisma appartengono a Russell, 1948. Di cognome fanno Mael, sono nati a Culver City, Los Angeles e da 50 anni fanno gli Sparks che equivalgono a un profluvio di scintille intelligenti, epigrammatiche, intellettuali, anticonformiste, versatili, non convenzionali, visualmente attratte (occhio alle irresistibili copertine dei loro dischi) sia dal Teatro dell’Assurdo di Eugène Ionesco, sia dalla Slapstick Comedy griffata Marx Brothers.
Ron e Russell Mael
© Munachi Osegbu
Ho domandato a Russell Mael, via Zoom, quale fosse il timore più grande degli Sparks: «Di ripeterci fino alla noia», mi ha risposto senza indugi. «Di smarrire quella scintilla che da sempre ci appartiene. Mai e poi mai vorremmo diventare una band nostalgica!». A giudicare dai più che positivi riscontri in terra britannica del loro 28° disco, MAD! (1° posto nelle classifiche Independent, Cd, Vinyl e Scottish, 2° nell’Album Chart ), di nubi all’orizzonte non se ne intravedono. Quarti nella Top Ten inglese del 1974, quando dalla Città degli Angeli approdarono a Londra per agganciarsi al glam rock con l’Lp Kimono My House e il depistante, rivoluzionario 45 giri This Town Ain’t Big Enough For Both Of Us («Fin dagli esordi ci siamo sentiti più in sintonìa con ciò che proponeva l’Inghilterra attraverso i Move, gli Who, i Kinks e altri gruppi, che con quello che stava succedendo in California») gli Sparks stanno attraversando la fase più elettrizzante e di successo della loro carriera dopo l’estetica glam della trilogia Kimono My House, Propaganda, Indiscreet e la disco elettronica di N°1 In Heaven (1979) e di Terminal Jive (1980), fruttuose collaborazioni con Giorgio Moroder.
Fra le altre medaglie appuntate ai loro curricula ricordiamo il synthpop di Gratuitous Sax & Senseless Violins (1994); la sampler opera di Li’l Beethoven (2002) e il progetto FFS insieme agli scozzesi Franz Ferdinand (2015). E nel 2021 è stato fuor di dubbio merito del documentario The Sparks Brothers girato con maestrìa da Edgar Wright e del film/musical Annette di Leos Carax con relativa colonna sonora, se i Mael si sono fatti apprezzare anche dalle nuove generazioni, avvezze a tutt’altro tipo di suoni, che hanno scoperto quel loro hellzapoppin’ di pop, rock, new wave, elettronica, sinfonismi, cabaret e music hall a getto continuo.
MAD!, scritto e urlato in stampatello, «oltre a “pazzo” (il mondo, la società, la politica) sta a significare “arrabbiato”: di conseguenza si adatta all’impatto complessivo del nostro nuovo repertorio, allo spirito del tempo, a quello che sta succedendo a tutti noi ed è un incubo ormai fuori controllo».
Registrato allo Sparks Studio di L.A., pubblicato dalla londinese Transgressive Records di Tim Dellow e Toby L (l’annuncio della firma è avvenuto lo scorso anno durante gli AIM Independent Music Awards, alla Roundhouse di Londra, quando i sempre più orgogliosi Mael hanno ricevuto il premio per il loro ragguardevole contributo alla musica) MAD! li vede ben supportati dai chitarristi Evan Weiss ed Eli Pearl, dal bassista Max Whipple e dal batterista Stevie Nistor. «Ci abbiamo lavorato davvero tanto», ha sottolineato Russell. «Non era semplice con 27 album alle spalle mantenere una certa freschezza compositiva, ma le nuove canzoni racchiudono tutto quello che rappresentano oggi gli Sparks».
Il pezzo d’apertura, Do Things My Own Way, è l’ouverture che mai ti aspetteresti: un febbricitante, ossessivo synthpop elettrificato dalle chitarre; l’opposto del ritmo in levare di JanSport Backpack, con le stratificazioni vocali di Russell a ricordare i Beach Boys, peraltro già “testati ” con Over The Summer (da Introducing Sparks, 1977). Chitarre distorte e rock senza compromessi fra le pieghe di Hit Me, Baby, che idealmente ripercorre la fase anti elettronica dell’album Big Beat (1976); e si cambia di nuovo registro con Running Up A Tab At The Hotel For The Fab, sublime incontro fra l’elettronica straniante alla Suicide e il melodramma.
L’evolversi creativo della melodia, altro vezzo sparksiano, titilla invece l’orecchiabile, fischiettante My Devotion; la soffice, vaporosa In Daylight e il pop rock, assai Sixties, di A Little Bit Of Light Banter. A far da controcanto c’è Don’t Dog It, dove è il metronomo a dettare il ritmo predisponendo alla toccata e fuga, alla densità percussiva, allo spleen pianistico. Infinite possibilità sinfoniche sono invece racchiuse nei virtuosismi di I-405 Rules: «È un’ode a Los Angeles. L’I-405 è un’autostrada: noi non abbiamo il Colosseo di Roma, la Torre di Pisa, il Duomo di Milano ma una freeway che attraversa la zona ovest della metropoli. Un corso d’acqua metaforico, accanto al quale Ron e io siamo cresciuti. Non ci meritiamo un bel fiume, ma un’iconica autostrada».
Se poi A Long Red Light fa inevitabilmente riaffiorare alla memoria “classici ” come When Do I Get To Sing My Way? (da Gratuitous Sax & Senseless Violins) o come Your Call Is Very Important To Us, Please Hold (da Li’l Beethoven), l’enfatica Drowned In A Sea Of Tears evidenzia nel ritornello certi riverberi glam rock anni 70 e la conclusiva Lord Have Mercy è un fior fiore di ballata che definire beatlesiana non mi pare azzardato.
Il prossimo 8 luglio, Russel & Ron si esibiranno per la prima volta in Italia: «Suoneremo al Teatro Arcimboldi di Milano, anche se in realtà l’abbiamo fatto nel 2015 a Genova, a Catania e a Treviso in occasione del tour con i Franz Ferdinand. Mai però come Sparks. Perciò, questo concerto sarà davvero speciale: per noi e per tutti voi».