Un bollente giorno dell’estate 1988 in una pizzeria di Roma, vicino a viale Mazzini. Intervisto Pino Daniele per il mensile Tutto Musica & Spettacolo. Fra un boccone di margherita e l’altro, cerco un po’ di refrigerio bevendo in un nanosecondo un boccale di birra media. Pino mi osserva e poi sbotta: «Ma tu si’ pazz!», mentre la mia fronte s’imperlina copiosamente di sudore. Ridiamo di gusto. Schizzechea. Gocce di serenità è il titolo dell’articolo che uscirà sul numero di ottobre. Ciao Pino, è stato bello ricordarmi di te.
Discorre amabilmente. La sua disponibilità è tanto sincera che non ti sembra di parlare con un N°1 del pop italiano. Ogni tanto si lascia andare a una risata contagiosa. È un Pino Daniele tirato a lucido quello che mi sta di fronte: psicologicamente serenissimo e fisicamente più asciutto, senza quella “zavorra ” fastidiosa dei chili di troppo. Volta pagina e il suo nuovo album, Schizzechea with Love, è la prova tangibile di un benessere che pervade sia l’uomo, sia il musicista.
«Da qualche tempo ho iniziato a gestire un rapporto meno paranoico con la mia vita», mi spiega il cantautore napoletano. «Affronto la realtà in maniera diversa, facendo di tranquillità virtù. L’attività sportiva mi sta dando una mano: un giorno faccio palestra, un altro mi dedico alla pallanuoto, anche se lavoro più di prima e il tempo a disposizione è poco. Ma lavoro con un metodo differente, senza più rodermi il fegato. Ho molte più offerte dall’estero (New York, Londra, Parigi…) che mi consentono di allargare ogni volta il mio giro d’amicizie in campo musicale e di confrontarmi con le più svariate dimensioni artistiche. Studio in continuazione per migliorarmi dal punto di vista tecnico, ma ora quando salgo sul palco mi preoccupo anzitutto di trasmettere al pubblico il mio stato di grazia. Sono finiti i tempi dei virtuosismi narcisistici…».
L’attesa di un tuo ritorno alla canzone, nel senso più tradizionale del termine, sembra non venire delusa con questo Schizzechea with Love…
«Dopo Bonne Soirée, che si snodava lungo ampie fasi strumentali, ho avvertito la necessità di tornare in un certo senso alla forma melodica classica. Non è un rifarmi al mio vecchio stile, ma semplicemente un “rivedere” le canzoni sotto una nuova ottica. Questo album espande il rock arab del disco precedente e spinge l’acceleratore sui suoni che mi appassionano di più, come le straordinarie atmosfere nordafricane. I miei esperimenti proseguono più che mai. Ci stiamo avviando verso una società multirazziale, ecco perché c’è spazio per la musica etnica: una musica che finalmente non sia più solo inglese e americana».
Qual è il significato di “schizzechea ”?
«È un termine napoletano. Descrive l’attimo in cui inizia a piovere e cadono le prime gocce; e ognuna di queste va a bagnare un punto diverso. Proprio come le mie canzoni, che raccontano differenti storie e prendono singolarmente in esame mondi musicali ben precisi».
Quali sono i musicisti presenti nell’album?
«Fra gli altri, Steve Gadd alla batteria e Chris White al sassofono. E poi Vicky Andino, batterista africano di notevole talento. Sarò io a produrre il suo prossimo disco».
Dopo un periodo di disimpegno, parecchi musicisti sono tornati a dare un significato politico e sociale alla loro attività. Ecco quindi il tour di Amnesty International e i positivi riscontri del concerto in favore di Nelson Mandela. Da cosa pensi derivi questa rinascita?
«Finalmente le rockstar sono tornate a impadronirsi della musica come strumento per far circolare le idee, soprattutto quelle di libertà. Non mi meraviglia, quindi, che anche con l’appoggio di gruppi come i Simple Minds e gli U2 si sia riusciti a far scarcerare alcuni prigionieri politici (è di questi giorni la notizia che proprio Mandela, dopo 26 anni di detenzione nelle carceri sudafricane durante i quali ha contratto la tubercolosi, stia per riottenere la libertà; ndr). La battaglia per il rispetto dei diritti umani sta dando ottimi frutti. Amnesty International mi vedrà in prima linea, magari con il contributo del musicista africano Toure Kunda».
I tuoi interventi a favore dei giovani detenuti nel carcere minorile napoletano proseguono?
«Tuttora mi adopero in tal senso, ma non mi va di fare pubblicità. Lo faccio per me stesso e il business deve rimanerne fuori. Sono impegni esclusivamente personali e non del Pino Daniele artista».
Dopo tanti anni di carriera e la molta esperienza accumulata, ti senti ancora un artigiano della musica?
«Più che mai. Faccio musica con umiltà come agli inizi, senza inseguire il successo a ogni costo. Non voglio essere il migliore, perché il migliore non esiste. Voglio essere un grande come Battisti, Dalla, Baglioni».
Ti farebbe piacere se un domani i tuoi figli Cristina e Alessandro decidessero di fare il tuo stesso mestiere?
«No, perché è un ingranaggio spietato. Un giorno sei in cielo e il giorno dopo sei nella polvere. Ma rispetto le loro idee e non ostacolerò i progetti che vorranno intraprendere. L’importante, come padre, è dare loro affetto, amicizia e dialogo».
Secondo te il sodalizio ritrovato fra Edoardo Bennato e Tony Esposito in occasione dell’album Il gioco continua potrebbe essere un sintomo di nuova vitalità per la scuola napoletana?
«Edoardo e Tony fanno esperimenti, il che è positivo perché non è facile che 2 musicisti napoletani collaborino insieme. Ma nuove sollecitazioni emergono dai giovani: come i Bisca, i Walhalla e gli Avion Travel. Gente con una mentalità aperta, dal respiro europeo. Mi sento molto vicino a loro. La vecchia scuola è troppo attaccata agli antagonismi, è un epoca ormai finita. Tony Esposito è fra i pochi che potranno ancora incidere ottimi dischi perché è diverso dagli altri, ha più magia ed è attento a ogni stimolo musicale. Poi c’è Tullio De Piscopo, grande professionista. Uno che potrebbe perfino suonare in una cabina telefonica, se volesse…».
Vuoi tracciare un consuntivo della tua carriera?
«Sono contento di tutti gli album che ho realizzato. Ognuno di essi ha rappresentato una fase della mia evoluzione. In futuro, chissa?, potrei incidere un disco di sola musica africana…».
In attesa di verificare questa nuova, affascinante ipotesi di lavoro, non ci resta che gustare “goccia a goccia ” il pregevole disco di Pino.