Non solo da piccoli cambiamenti è stata scandita, negli ultimi anni, la vita di Michael Kiwanuka, che nel 2019 ha lasciato Londra per Southampton dove oggi vive con la moglie Charlotte e 2 figli avuti da poco. 5 anni fa usciva nei negozi anche il suo 3° album, Kiwanuka: ambizioso, orchestrato, caleidoscopico, poliglotta nelle sue variazioni stilistiche; concettuale, politico e programmatico nei suoi continui riferimenti al black power e ai movimenti dei diritti civili.

Tutto ciò che Small Changes non è, anche se per la terza volta su 4 accanto al cantautore inglese d’origini ugandesi ci sono in veste di coproduttori e strumentisti Brian Burton alias Danger Mouse (partner di CeeLo Green nei Gnarls Barkley e artefice del sound di dischi di artisti quali Gorillaz, Beck, Black Keys, Red Hot Chili Peppers e Norah Jones) e Dean Josiah Cover in arte Inflo (leader dei Sault, già produttore di Kooks e Tom Odell). A dettarne le scelte stilistiche ha contribuito in modo sostanziale la vittoria in patria del prestigioso riconoscimento del Mercury Prize, che nella testa di Kiwanuka ha fatto scattare qualcosa sbloccando una lunga impasse e sgombrando il campo dalla “sindrome dell’impostore ” di cui soffriva: un complesso d’inferiorità di cui era finito vittima sia nella sfera professionale sia in quella privata come musicista, uomo di pelle nera e persona impegnata in una relazione sentimentale duratura.

Michael Kiwanuka

«Prima di allora cercavo disperatamente l’approvazione dei miei pari e di certi media», ha confessato di recente alla BBC. «Ma poi quel premio mi ha liberato da quel senso di disperazione. Mi ha consentito di rendermi conto che ciò che voglio ora è semplicemente fare dischi che mi vengano naturalmente». Cosicché, come ha spiegato in un’altra intervista, ha potuto rilassarsi evitando ogni sforzo, teso a dimostrare il suo valore e ponendo maggior risalto sulla voce, sui testi e sulle melodie delle canzoni invece che sulla costruzione di arrangiamenti e di scenari stratificati e sofisticati.

L’ascolto di Small Changes trasmette con esattezza questa sensazione di spontaneità, comunicando gli stati d’animo di un uomo pacificato e che accetta il suo posto nel mondo, pur filosoficamente consapevole del fatto che è difficile lasciare un segno del proprio passaggio sulla Terra come canta in Floating Parade, 1° singolo, 1° brano in sequenza e forse anche il pezzo più bello del disco: avvolgente e sospeso su una nuvola fluttuante, dove sfuggendo alle brutture e alle violenze del mondo ci s’immagina di ritrovarsi a fare festa tra synth, cori e archi celestiali, danzando al ritmo di un basso pulsante e di un morbido groove che ancora una volta fa venire in mente i suoi mèntori più citati: Terry Callier e Bill Withers. Non è un caso, dunque, che il batterista storico di quest’ultimo, James Gadson, sieda dietro ai tamburi in Follow Your Dream, un pezzo dal suono soffice ma non troppo levigato come risulta essere anche quello di The Rest Of Me, dove il rimando più evidente sembra lo smooth soul anni 80 di Sade.

I dischi della cantante d’origine nigeriana hanno fatto parte della dieta musicale di Kiwanuka durante la scrittura e la registrazione dell’album assieme agli Lp dei Buffalo Springfield di Neil Young e di Stephen Stills; agli album di Cat Stevens e di Arthur Lee dei Love; a No Other, capolavoro cosmic country di Gene Clark e a certo afro rock che nei 70 si produceva in Zambia e in Nigeria. E più o meno espliciti rimandi a quei mondi sonori si ascoltano in queste 11 canzoni registrate fra Londra e Los Angeles e in cui sono lui, Danger Mouse e Inflo a incaricarsi di suonare la maggior parte degli strumenti, fra chitarre e bassi sempre in primo piano, tastiere, percussioni e un uso misurato delle programmazioni elettroniche, anche se non mancano ospiti di grido quali il bassista Pino Palladino (turnista ubiquo che ricordiamo al fianco di Who ed Eric Clapton, ma anche di D’Angelo e Beyoncé) e l’organista Jimmy Jam, con Terry Lewis coproduttore di superstar quali Prince e Janet Jackson.

La loro presenza, quella dei coristi e delle discrete sezioni d’archi che spesso arricchiscono la palette sonora, non toglie al disco il suo carattere volutamente quasi dimesso e un poco grezzo (a volte sembra d’ascoltare dei demo sapientemente rielaborati): in Small Changes abbondano lo spazio e i vuoti che permettono alla musica di respirare, gli strumenti sono tutti perfettamente individuabili all’interno dell’immagine sonora stereofonica, i ritmi lenti e midtempo e le melodie regnano sovrane sostenute da sequenze d’accordi semplici e lineari.

Resta quell’inconfondibile sapore di spleen britannico, suggerito da una voce umbratile come quella di Nick Drake, ma si percepisce anche un senso di sereno sollievo e di conforto in queste tracce in cui Michael imbraccia la chitarra acustica dei suoi esordi folk, ma molto più sovente la sua chitarra elettrica traendone suoni bluesati e alcuni concisi, espressivi assoli : succede nell’assorta, pregnante canzone che intitola il disco e che ne ha rimesso in moto il processo creativo; nella catarsi finale della lenta ballata Four Long Years e soprattutto nella seconda parte, interamente strumentale, di Lowdown, dove la sua antica passione per i Pink Floyd si esprime in un fraseggio squisitamente gilmouriano (mentre nella prima sezione cantata del brano è la slide distorta di James Payne a ricreare un suggestivo effetto vintage evocando il suono di uno strumento a fiato).

Per Kiwanuka non è un problema far convivere citazioni prog rock all’interno di un microcosmo soul e cantautorale che, con sensibilità decisamente moderna e tutt’altro che passatista, trae spunto e ispirazione dalla musica angloamericana degli anni 60 e 70. Parla spesso d’amore, questo disco, e di occasioni sfuggenti da prendere al volo: la solida fede cristiana e la ritrovata fiducia in se stesso, spingono Michael a pensare che bastino a volte piccoli cambiamenti a risolvere i problemi e che dopo 4 lunghi anni passati ad arrovellarsi è arrivato finalmente il momento d’abbandonarsi alla dolcezza di un pomeriggio estivo.

La commovente One And Only, Rebel Soul con il suo onirico e circolare riff di pianoforte, il pop delicato di Live For Your Love e la cinematografica Stay By My Side, sono le altre tappe di un percorso coerente e organico: di un disco intimo, sobrio e raccolto che dopo la (relativa) estroversione del best seller Love & Hate e la grandeur di Kiwanuka fotografa con onestà la condizione attuale di un musicista che si confessa a bassa voce; un uomo di 37 anni che fatica ad adattarsi a certe evoluzioni del presente (i social media, l’intelligenza artificiale) ma che sembra aver sconfitto i fantasmi del passato. Con Small Changes non sorprende, non fa un passo oltre ma mette a nudo la sua anima. Come solo i veri artisti sanno fare.