Ci sono 5 brutti ceffi da presa per il culo tardo hippie, di quelli che mai e poi mai fareste uscire di sera con vostra figlia e le sue amiche; e c’è il primissimo piano di un boa constrictor, lingua biforcuta su sfondo rossosangue. C’è un banco di scuola seviziato dalle scritte, che nasconde sotto 2 chewing gum appiccicati e dentro 1 paio di mutandine a rete rosa. C’è un portafoglio verde in pelle di serpente, che quando lo apri riconosci quegli stessi ceffi da presa per il culo ma stavolta candidi come conigli; e c’è un contenitore di cartone, di quelli per la pizza e perciò un bel po’ unto, che raccoglie le fotografie dei 5 in uniforme da marinaio in libera uscita: strafottenti prima, gonfiati di botte poi.

Sono le 5 copertine, una più famosa e collezionata dell’altra, di Love It To Death (1971), Killer (1971), School’s Out (1972), Billion Dollar Babies (1973) e Muscle Of Love (1973). 5 Lp accomunati da chi dentro quei solchi ci ha cantato e ci ha suonato: Vincent Damon Furnier a.k.a. Alice Cooper + Michael Bruce (chitarra), Glen Buxton (chitarra), Dennis Dunaway (basso) e Neal Smith (batteria) = The Alice Cooper Group, che si scioglie nel 1975 dopo aver compiuto il miracolo di far coesistere a colpi di decibel e di ospitate impensabili (Donovan nel brano Billion Dollar Babies; Liza Minnelli, Ronnie Spector delle Ronettes e le Pointer Sisters in Teenage Lament ’74…) il grandguignolesco shock rock con il glam rock, più poseur ma altrettanto oltraggioso. Alice, da solista, avrà modo di connettersi con l’heavy metal e i suoi derivati, “preservando ” il fido serpente a mo’ di venefica vestigia del passato.

The Alice Cooper Group nel 1971

Nessuno, a quel punto, avrebbe scommesso 1 cent su un’ipotetica resurrezione dell’Alice Cooper Group. Ma come un inaspettato fulmine a ciel sereno la reunion si compie di fatto il 6 ottobre 2015 a Dallas, nel negozio di dischi Good Records, quando Alice, Bruce, Dunaway, Smith e il chitarrista Ryan Roxie al posto di Glen Buxton, scomparso il 19 ottobre 1997 a 49 anni, macinano a sorpresa 1 ribollente live act che vede l’iconica trasfigurazione glamour dell’hard rock. Processo alchemico che si ripete oggi con maestrìa, a 52 anni dall’uscita di Muscle Of Love, con The Revenge Of Alice Cooper: non a caso prodotto dal canadese Bob Ezrin, già deus ex machina dei succitati 5 album e di gran parte dei lavori solisti del luciferino Mr. Furnier.

Michael Bruce, Neal Smith, Alice Cooper, Dennis Dunaway
© earMUSIC/Jenny Risher

The Return Album The World Was Afraid Of  (L’album del ritorno di cui il mondo aveva paura) è sottotitolata la copertina stile pellicola horror anni 50, che snocciolando sul retro i titoli dei 14 brani in scaletta ha il compito di rivolgersi, voce incredibilmente tale e quale di Alice Cooper inclusa, alla quasi totalità della musica odierna: lobotomizzata, rimbecillita e perciò destinata a terrorizzarsi al proficuo ascolto di un siffatto Alice Cooper Group, a proprio agio con lo stesso glam rock che negli anni 70 non vedeva l’ora di copulare con il blues, il country, il musical alla West Side Story e tanto altro ancora. «In tutta onestà», ha dichiarato Alice alla rivista americana Goldmine, «una volta entrati in studio di registrazione ogni cosa è filata liscia. È quasi un mistero come questo disco sia venuto fuori proprio come noi lo volevamo».

Alice Cooper con il produttore discografico Bob Ezrin
© earMUSIC/
Len DeLessio

Una linea di basso fa da stantuffo alla lenta, bluesata, sgusciante Black Mamba (“Penso che mi nasconderò fra le tue lenzuola / Avvolto fra le pieghe così bianche / Ti osserverò soltanto / Mentre dormi, tesoro / E deciderò se devo mordere ”): è l’incipit ideale per l’ACG, che si concede il lusso di un featuring d’alta classe: Robbie Krieger dei Doors alla chitarra solista. Poi si procede pilotati da un drumming secco, punkeggiante, ultraveloce ed è il teppistico rock and roll di Wild Ones a imporsi a muso duro (“Siamo i selvaggi / Che si schiantano nella notte / Viviamo nell’ombra / Nascosti dalla luce / Scaldiamo i nostri motori / Affilando gli artigli ”), seguito dal muro del suono di chitarre imbizzarrite che dà corpo al tonitruante rock di Up All Night (“Sì, posso restare sveglio tutta la notte / E ora il mio cervello sta bollendo / E sono rosso incandescente / Con la pancia piena di demoni / E un martellìo nella testa / Eppure non mi volto indietro ”) e dal rock blues di Kill The Flies (“Amo questi muri e i corridoi solitari / È qui che devo stare / Ma quando sono sveglio di notte / E i farmaci fanno effetto / C’è qualcosa che vola intorno alla mia faccia / Ronza nella mia testa… ”) che sviluppa una velenosa e tardo psichedelica parte centrale.

A sostanziarsi, poi, è il rock dalle sfumature western di One Night Stand (“Poi all’improvviso prende la mia mano / Sussurra ‘ Sei la mia avventura di una notte ‘/ Nella sua camera da letto immersa nel bianco / Mi tira giù e spegne le luci / E nel pericolo del buio / Sento la sua ‘ lama ‘ nel mio cuore ”) seguito strategicamente da Blood On The Sun, strutturato come una piccola suite, che inizia maestoso per poi velocizzarsi al ritmo della batteria, sfoderare 1 melodico assolo di chitarra e inanellare versi romanzati come “La squadra d’assalto è uscita, il vincitore prende tutto / Un suono freddo dall’inferno fa rabbrividire / Giovani e innocenti, figli della polvere / Non piangere, è solo tuono / Il silenzio rabbioso, di uomini e topi ”.

In un sagace mix di black humour e di horror (“Ora ho 65 anni e sì, sono ancora vivo / Ma non vedo mia moglie da un bel po’ / Potrebbe essere morta di sopra / O forse semplicemente non le importa / Della mia musica o del mucchio di bucato ”), Crap That Gets In The Way Of Your Dreams che suona un po’ come “Le stronzate che si frappongono fra te e i tuoi sogni ” esprime precisi riferimenti ai Kinks di All Day And All Of The Night, mentre Famous Face cammina sul filo del rasoio metal e hard puntando sul fatto che “Sui satelliti e in tv / Ti comporti e appari in modo oltraggioso / Mostri al mondo quello che vuole vedere / Sei inutile come un cane con le pulci / Vuoi di più quando hai già avuto troppo / Non sai mai quando è abbastanza / Non riesci a fermarti perché sei un ubriacone ”. E se in Money Screams Il denaro non parla, urla / Il denaro è la radice di tutti i nostri sogni / È il diavolo alla porta / Il mostro in verde ”, basta un pugno di vintage rock e il gioco è fatto, What A Syd mette subito in chiaro che “Amo il rock ma ho bisogno di ribellione / Non è una sorpresa che non invecchierò mai ” e lo fa swingando con allegra spudoratezza alla maniera di Minnie The Moocher di Cab Calloway.

Amo vivere in un sogno pericoloso / E probabilmente morirò in quel modo / Non ho casa, ma non mi importa / Ho stivali di serpente e capelli biondi lunghi / Una spalla carica e una chitarra rubata / Metto tutto insieme e sono una star ”. Inter Galactic Vagabond Blues è un’armonica a bocca bluesy a cavalcioni di un’onda increspata dal rock’n’roll dei Fifties, così come What Happened To You – del tutto simile a Johnny B. Goode di Chuck Berry – oltre a farsi guidare in giro per la città “In una Coupe de Ville / Bevendo champagne rosa e prendendo pillole ” snocciola un riff chitarristico del compianto Glen Buxton che Dennis Dunaway aveva messo da parte in una vecchia demotape.

È senza dubbio la chicca più preziosa di 1 album che sceglie come capitoli finali il blues impettito di Ain’t Done Wrong degli Yardbirds, anno di grazia 1965; e See You On The Other Side, robusta e toccante ballata rock: “Ci vediamo dall’altra parte / Ti sento dall’altra parte / Ci sarò dall’altra parte / E rockeggiando tutta la notte / Ci vediamo là ”. Che si parli di una ragazza, dei fans, di un tacito messaggio fra i componenti del gruppo o di tutte queste cose messe assieme, è la testimonianza (auguriamoci di cuore tutt’altro che definitiva) di 1 disco entusiasmante e sincero come pochi altri. La miglior vendetta possibile di Alice Cooper e del suo gruppo. Un piatto che va servito glamorosamente.