Ogni epoca e luogo hanno avuto il proprio re o regina – o entrambi. Pensi alla musica americana anni 80 e dalle nostre parti il pensiero corre subito ai Minutemen e agli X di John Doe ed Exene Cervenka – e altrettanto ai Replacements di Paul Westerberg. Già, King Paul dalla fredda Miniapple, come gli abitanti di Minneapolis in Minnesota chiamano la città bagnata dal Mississippi, che nel decennio di Ronnie Reagan sembrava un po’ il centro del mondo musicale dopo, peraltro, già aver ospitato il primissimo Bob Dylan, dicipoco: Prince e il suo Paisley Park, gli Hüsker Dü di Bob Mould e Grant Hart e naturalmente i Mats (nickname dei Replacements). Alta classifica e geniale black pop, bettole post punk e hardcore – era tutto lì. Con Dead Man’s Pop, 4 Cd e 1 Lp via l’amata Rhino Records, d’un tratto sei catapultato dove la Generazione X era ovunque eppure smarrita fra mille traversie, in preda a bile accecante ma a cui fregava molto di tanto – bastava solo starla a sentire, quella generazione.
I Mats le traversie sapevano molto bene che cosa fossero: la droga, l’alcol a fiumi, l’eccesso in genere, le bestemmie (magnifiche – lanciate in diretta tv al Saturday Night Live con sprezzo per tutto e per tutti, banditi per sempre o quasi dalle reti televisive americane, “quasi” poiché in tempo di reunion 2014-15 il coverage è stato di ampio risalto), la folle corsa verso-chissà-dove ne hanno sublimato il mito ma pure stroncato l’ascesa; perché l’incredibile talento che scorreva nelle loro vene, le vene gliele ha fatte ribollire fino a scoppiare. Tipica storia di vero rock’n’roll, da Jerry Lee Lewis in giù – solo che l’Hellfire di JLL ha dimostrato vita eterna, quello dei Mats aveva il timer – di quelli dove però non vi era niente di calcolato, tanto che qualcuno davvero pensa a loro come se fossero i Nirvana, naturalmente prima dei Nirvana. Per farla breve, i Replacements erano un bolide lanciassimo fra punk, Rolling Stones, Sex Pistols, Ramones, Clash, Memphis Sound/Alex Chilton/Big Star, come se la missione fosse quella di portare a forza Keith Richards fra i banchi dei college yankee – per farli letteralmente a pezzi e fare incazzare tutti quanti (ed entusiasmare chi con le orecchie giuste). Roba da Breakfast Club – e chi vuole intendere, intenda.
Dead Man’s Pop catapulta in tutto questo ed espande il discorso di All For Nothing Nothing For All (1997), antologia che fra hits e odds & ends rimane comunque essenziale. Prima di tutto Westerberg si toglie un bel sassolino dalla scarpa, forse un macigno. Ossia ecco finalmente il redux di Don’t Tell A Soul (1989), il disco della discordia Mats, che venne manipolato non poco dalla casa discografica (per la cronaca, la Sire di Seymour Stein, quella dei vari Ramones, Talking Heads, Pretenders, Madonna…) che voleva un prodotto più “radiofonico”: qui risplende per intero il Matt Wallace mix (Wallace dell’album ne fu il produttore), che davvero fa apprezzare le varie Talent Show, I’ll Be You e Achin’ To Be per quello che in verità erano, vale a dire in perfetta linea con il verbo Replacements. E non che Don’t Tell A Soul fosse esecrabile, peraltro.
2 dei Cd sono dedicati a Live At University Of Wisconsin-Milwaukee, WI, 6/2/1989, un concerto nel loro perfetto elemento: in un college – e il titolo The Complete Inconcerated spiega tutto. In verità un estratto del concerto già uscì nell’Ep di 6 brani Inconcerated Live (1989), ma qui è ben altra storia, si ha davvero il feeling del fuoco & fiamme che erano i loro concerti. La formazione è quella con Slim Dunlap alla chitarra, il quale nel 1987 sostituì l’ingestibile Bob Stinson (che fu cacciato dai Mats l’anno prima) – e scorrono la bellezza di 29 numeri con in fila pressoché tutti i classici del gruppo, proposti con il turbo innescato per un esito potente, roboante e fulmineo. Con in più qualche gran cover che mostra di che pasta fossero fatti i Replacements: Black Diamond dei Kiss (già immortalata nel 1984 in Let It Be), Cruella de Ville (uno dei temi de La carica dei 101 – anche qui trattasi di travestimento comico, peraltro suggeritagli da Hal Willner all’epoca di Stay Awake/Various Interpretations Of Music From Vintage Disney Films del 1988), Another Girl, Another Planet degli Only Ones (staple dei loro concerti) e la programmatica Born To Lose di Johnny Thunders (cui, fra l’altro dedicarono 2 loro classici, Johnny’s Gonna Die e Dose Of Thunder). Non sembri una boutade che se questo doppio album live fosse uscito all’epoca ne parleremmo come di un classico. Roba che fa ululare alla luna!
La scorpacciata non è mica finita, giacché il box set sfodera anche We Know The Night (Rare & Unreleased) – una ventina di pezzi fra demo, outtake, alternate mix, pezzi rari e veri propri inediti. E fra questi ultimi non si può soprassedere su pezzi dinamite come Last Thing In the World e Ought To Get Love – ma sopratutto sulla ballata acustica Dance On My Planet, a pieno diritto legata a doppio filo con classici by Westerberg come Here Comes A Regular, Skyway e Sadly Beautiful.
Come per tutti i banchetti che si rispettino il dolce, come sempre, arriva alla fine. E si chiama Tom Waits. L’Orco di Pomona, al di là di tutta la mistica che lo circonda fatta di Hoagy Carmichael e di jazz, di vecchi bluesmen e di tutto il romanticismo black & white che volete, è artista che la “musica nuova” non se l’è mai fatta sfuggire, come dimostrano le collaborazioni perpetrate negli anni con colleghi più giovani quali Primus, Eels, Sparklehorse, Hank III, Tin Hat Trio. I Replacements furono il suo sfizio 80s. D’altra parte i Mats erano così grandi fan dell’artista californiano che già al tempo di Pleased To Meet Me (1987) dedicarono a lui e al sodale Chuck E. Weiss (quello della famosa canzone di Rickie Lee Jones e poi socio di Johnny Depp con il Viper Club) lo splendido jazz sporco Nightclub Jitters.
Fu così che nell’estate 1988 una sera Waits visita i Replacements ai Cherokee Studios di Los Angeles, per quella che nel tempo è divenuta una session alquanto idealizzata. Nel tempo le cose escono a singhiozzo, iniziando con il travolgente gospel’n’roll Date To Church (Waits infervorato all’organo) che finì nella compilation di artisti vari Just Say Mao/Volume III Of Just Say Yes (1989) accanto a pezzi inediti di colleghi quali Depeche Mode, Morrissey, k.d. lang, Lou Reed, Ice-T e altri. Poi qualche decennio dopo il blues di Lowdown Monkey Blues e il country stonesiano di We Know The Night (outtake di Don’t Tell A Soul e ben noto lost classic della band) apparvero nell’Ep 3oclockreep (2008) di Westerberg, pubblicato solo online e che peraltro sfuggì a molti se non ai Mats-fan più accaniti. Anno Domini 2019 – e finalmente tutta la session appare al completo.
Oltre ai numeri già citati, il treno Replacements/Waits consegna altri bei momenti con If Only You Were Lonely, ripresa della b side del primissimo singolo del gruppo del Minnesota, Trouble (1981); ben 2 versioni della già citata We Know The Night; e, per chiudere, un’ubriachissima cover di I Can Help, favoloso brano del countryman Billy Swan. Un totale di ben 6 pezzi Mats featuring Tom Waits che sono davvero la ciliegina al tritolo sopra la torta Dead Man’s Pop.
Foto: © Jim Steinfeldt/Michael Ochs Archives/Getty Images