Tutto quello che avreste voluto avere dei Raconteurs ma non avete mai osato chiedere? Eccolo, un debordante doppio album dal vivo, tipo quelli che le grandi band facevano nei 70s, che raccoglie il meglio di 3 serate avvenute la scorsa metà di ottobre alla Cain’s Ballroom di Tulsa in Oklahoma, cuore dell’America profonda che pulsa. E qui Jack White e Brendan Benson giocano duro, alzano la posta – e altro che bluff, qui sbancano il tavolo dimostrando d’essere per davvero la punta di diamante dell’odierna musica rock yankee.

Quello che vi ritroverete in mano con questo boxset, però, non è solo un doppio live – ma un vaso di Pandora che si schiude nel nome dei Raccontastorie (Raconteurs in francese = Troubadours in inglese). Prima della pietanza principale, Live In Tulsa, per cominciare è bene spiegare che qui trovate anche un blu-ray intitolato Born And Razed: Two Intimate Acoustic Performances With Jack White And Brendon Benson Of The Raconteurs 1999-2019, cerchio che chiude un’amicizia, quella fra l’ex White Stripes e il conterraneo cantautore del Michigan: il titolo spiega tutto, con prima una dozzina di brani risalenti a una notte del marzo 1999 al Garden Bowl & Lounge di Detroit, con i 2 sodali ancora giovani e di belle speranze (tuttavia, Jack già vantava futuri classici degli Stripes come Sugar Never Tasted So Good e Dead Leaves And The Dirty Ground); per poi fare un salto nel luglio 2019 alla Third Man Records, la casa discografica-spazio multimediale a Nashville dove White è padrone di casa oramai dal 2009 (l’etichetta, comunque, aprì una decina d’anni prima a Motor City), con un’altra dozzina di brani dove il duo sciorina un gran bel condensato unplugged del repertorio Raconteurs.

The Raconteurs

Ma il contorno non è solo il blue-ray, siccome qui dentro brilla anche un flexi che apparentemente parrebbe roba per collezionisti incalliti – ma non lo è. Semmai è un documento di quanto Jack sia dedicato a non perdere ciò che gli indica la bussola interiore: 2 brani incisi ai leggendari FAME Recording Studios di Muscle Shoals in Alabama, il laboratorio fondato da Rick Hall dove negli anni 70 fu creata alcuna della musica più eccitante di quel decennio, vedi Allman Brothers Band, Jerry Reed, Bobbie Gentry, Mac Davis, Paul Simon, John Prine, Tony Joe White, Lynyrd Skynyrd, JJ Cale, Joe Cocker e valanghe d’altri (per la cronaca, in merito nel 2013 fu realizzato lo splendido documentario eloquentemente intitolato Muscle Shoals). Lì lo scorso anno il quartetto ha inciso il paio di numeri del flexi, giusto per respirare la storia, ossia Now That You’re Gone, già uno dei momenti più brillanti del loro comeback album Help Us Stranger (2019); e, soprattutto, la cover di I’m You Puppet, favoloso pezzo scritto da Dan Penn e Spooner Oldham nel 1966, in primis per il dimenticato duo r&b James & Bobby Purify, quindi destinato a divenire un classico assoluto grazie alle seguenti cover incise da innumerevoli altri (Dionne Warwick, i Box Tops di Alex Chilton, Sam & Dave, Marvin Gaye & Tammi Terrell…). E se tutto vi sembra che abbia un irrefrenabile tocco dove il funk meets twang è sovrano, non sbagliate – quell’aroma era e sempre sarà l’ingrediente principe di casa FAME.

Brendan Benson e Jack White

Eccoci alla portata principale: Live In Tulsa. 2 ore abbondanti, straboccanti, gasatissime di Raconteurs al massimo della potenza, suono loose che non cerca preziosismi ma vuole arrivare dritto fra stomaco e anima. Tutto registrato senza trucchi né inganni, regalando un ascolto-esperienza come se anche noi fossimo stati in Oklahoma fra le mura della Cain’s Ballroom – e Dio solo sa quanto ci sarebbe piaciuto essere lì! Le emozioni forti sono quelle che regala un repertorio che è pura, distillata autorità – onda d’urto che le emozioni le sconquassa, a dir poco: vedi come passano in rassegna debordanti Help Me Stranger, The Switch And The Spur, i quasi 15 minuti di Blue Veins, l’uppercut-capolavoro Carolina Drama, Consolers Of The Lonely, l’anthem Steady As She Goes, la già citata Now That You’re Gone, fino al bellissimo intervallo acustico Together. Il reparto cover è una goduria, vero laughing gas – gas esilarante: tipo in Top Yourself, dov’è incastonata in un tessuto di lava elettrica nientemeno che Blackbird, meraviglia Beatles sponda Macca; oppure nel vorticoso medley dove esplodono Hey Gyp (Dig The Slowness), Donovan annata 1965 impiccato a un palo della luce con cavi scoperti (già presente nel disco di studio dello scorso anno); Gloria di Van Morrison epoca Them e il beat tribale I Want Candy degli Strangeloves, scritto dal leggendario produttore/songwriter maudit Bert Berns che già sfavillava nella capitale raccolta di psycho-garage Nuggets, compilata nel 1972 da Lenny Kaye. Detto in breve: Tulsa un po’ come la Roma imperiale, con Jack White che sfila trionfale come facevano i kaiser di ritorno dalle campagne di conquista delle terre allora conosciute.