Non facciamo in tempo ad aver goduto con lo strepitoso boxset Live In Tulsa/Recorded Live@Cain’s Ballroom 2019  (2020), scrigno che regalava leccornie di vario genere e provenienza nel nome Raconteurs, che Jack White e Brendan Benson tengono desta l’attenzione con questo imperdibile Live At Electric Lady, poco più che un Ep visti i 36 minuti di durata – ma vero portento irrinunciabile nel nome dei Raccontastorie (Raconteurs in francese sta, appunto, per “raccontastorie”).

The Raconteurs

Già lo scorso anno Jack e i suoi avevano varcato un luogo sacro della musica americana come i FAME Studios di Muscle Shoals in Alabama, uscendone con una session sparata online e nel poc’anzi citato cofanetto (la cover di I’m Your Puppet, super classico soul scritto da Dan Penn e Spooner Oldham, è gourmet per palati fini…). Qui fanno lo stesso: o online o vinile – al diavolo i Cd! Ora tocca a un altro posto a dir poco leggendario: nientemeno che la casa di Jimi Hendrix, i famosi Electric Lady Studios nel cuore del Greenwich Village newyorchese, che il Mancino di Seattle volle creare ma che praticamente usò pochissimo a causa della prematura morte (è lì che Jimi stava lavorando al suo mai completato 4° album, il favoleggiato First Rays Of The New Rising Sun, massacrato da diversi dischi post mortem e per fortuna messo a punto nella propria forma più plausibile nel 1997 da Eddie Kramer, il fido tecnico del suono di JH). Ma lì dentro, con il fantasma di Jimi ovunque, hanno inciso giganti della musica moderna quali Lou Reed, Rolling Stones, Frank Zappa, Chuck Berry, Roots, U2, Beastie Boys, John Lennon, Led Zeppelin, Santana, Run-DMC, Bob Dylan, LCD Soundsystem, Eric Clapton, Stevie Wonder, Ian Hunter, AC/DC, Chic, Guns N’ Roses, Clash, Erykah Badu, David Bowie, Curtis Mayfield, Patti Smith, Alice In Chains, Steve Winwood, Public Image Ltd., Elvis Costello, Rod Stewart, Blondie, Depeche Mode, Blood, Sweat & Tears – solo per citarne alcuni. E adesso tocca a Jack, che dove vi è aria buona lui deve andar a respirarla.

Jack White al Corona Capital Music Festival, Mexico City, 17 novembre 2019, © Pedro Pardo / AFP

Tutto è avvenuto al cospetto di pochi invitati nel settembre 2019, in occasione dell’inizio delle celebrazioni del 50° anniversario degli studi e sotto il patrocinio di quello che scommettiamo, per Jack White, titolare della Third Man Records che il fatturato lo fa soprattutto con i vinili, sia il fantomatico nemico, ossia Spotify. Ma giusto concedere al Diavolo i propri meriti, quando i risultati sono questi – un po’ come accadeva con MTV e il format unplugged. Anche perché, oltre al concerto ora disponibile ufficialmente, Spotify ha foraggiato pure un ben fatto documentario diretto nientemeno che da Jim Jarmush, il grande regista di pellicole leggendarie come Stranger Than Paradise (1984), Daunbailò (1986), Dead Man (1995), Ghost Dog/Il codice del Samurai (1999), il work in progress Coffee And Cigarettes (1986-2003) e Broken Flowers (2005); nonché di belle esplorazioni musicali come Year Of The Horse (1997) su Neil Young + Crazy Horse e Gimme Danger (2016) sugli Stooges. Detto in breve: la gente giusta al posto giusto – sembra facile, eh?

The Raconteurs con il regista cinematografico Jim Jarmush

Jack e Brendan sono 2 tipi intelligenti, evitano di fare i caciaroni nel nome dell’hendrix-ismo da vendere tanto al chilo – infatti, sono così scaltri che Jimi è giusto citato da Brendan en passant nelle parole di benvenuto e, anzi, scelgono di metter l’attenzione su qualcos’altro. Tanto è vero che, raffinati rocker che sono, decidono come cover nel loro incendiario set non un brano del grande chitarrista ma uno dei grandissimi punk anthem che agli Electric Lady fu registrato: quella Black Generation annata 1977 di Richard Hell & The Voidoids. 2 le versioni, entrambe con testo radicalmente modificato e attualizzato rispetto all’originale dell’amatissimo Richard Meyers: una sudatatissima in mezzo alla performance, pugno dritto allo stomaco; mentre l’altra registrata in studio, ospite speciale Ivan Julian (il pard alle chitarre Voidoids dello scomparso Robert Quine), con tutto quello che offrono gli Electric Lady, più meditata e, perché no, con tocchi hendrixiani. Se Richard Hell, ormai ritiratosi dalla musica ad libitum, l’ha sentita, scommettiamo che in faccia abbia stampato un sorriso compiaciuto. Come il nostro, quando l’abbiamo ascoltata.

Il resto è un bel condensato di pezzi presi dal repertorio Raconteurs, specie del recente Help Us Stranger (2019), uno dei dischi rock più belli dell’ultimo quinquennio. Il giro in giostra è di quelli al cardiopalma: con lo zeppelinismo spinto Bored And Razed, very Zep già nel titolo (Dazed And Confused anyone?!?) con slanci vocali che una strizzatina d’occhio la danno pure ai U2 del Nuovo Millennio, zona How To Dismantle An Atomic Bomb (2004); con il potente folk-rock di Help Me Stranger; con la travolgente ballata Only Child, assoli di chitarra e di moog che si aggrovigliano l’un l’altro; e con Sunday Driver, uno dei pezzi più White Stripes extra WS di Jack. Chiudono la performance al fulmicotone Level, arcigno 70s rock dal 1° disco Broken Boy Soldiers (2006); e Old Enough dal 2°, Consolers Of The Lonely (2008), con i 2 leader che si rincorrono in cerca del Dirigibile o del Martello degli Dei, a scelta  – tanto è la stessa cosa. Per parafrasare Jimi Hendrix, i Raccontastorie possono ben dire di esser stati lì (a Electric Ladyland).