Il calendario secondo David Byrne, leader o forse dittatore illuminato dei Talking Heads. A metà anni 80, con il gruppo pieno di frizioni al proprio interno, lo scozzese naturalizzato yankee era in Texas ma già pensava al Brasile, molto probabilmente – fever che poi esplose con Rei Momo (1989), il suo vero disco d’esordio dopo colonne sonore e varie collaborazioni extra band. Ed è proprio che in quel 1986 pieno di belle cose come True Stories, il gran disco del gruppo madre, e il film dallo stesso titolo da lui diretto, che 2 splendidi musicisti di margine i quali quasi sicuramente sarebbero stati destinati a incontrarsi mai si sfiorarono, non fosse stato per la stroboscopica sfera byrneiana: il baiano Tom Zé sulle cui tracce David si mise in quei mesi – e, appunto, Terry Allen, cantautore di scuola texana dedito anche, e pure molto, alle arti visive (tuttora sculture e pittore forte di ottime quotazioni). I 2, per davvero, non si incontrarono musicalmente parlando – ma è più che piacevole vedere in Byrne l’impossibile punto d’unione. Allen, per chi non lo sapesse, prese parte sia al film True Stories (la moglie, Jo Harvey Allen, accanto a John Goodman era un po’ la stralunata protagonista della pellicola che si divincolava negli shopping mall del Lone Star State) sia alla soundtrack, con la bellissima Cocktail Desperado.
Preambolo a parte, Terry Allen con questo Just Like Moby Dick giunge all’album numero 11 – e viene da aggiungere “appena!”, visto che l’esordio avvenne con Juarez, risalente al 1975. 45 anni di carriera discografica e poche, dosate pubblicazioni. Ma si sa, agli artisti (quelli veri) non si comanda: semmai la briglia gli va concessa sciolta. Già, perché uno come Allen negli anni ha dato grandi soddisfazioni con il suo eccentrico cantautorato che un po’ sa di Randy Newman e un po’ di Tom Waits ma con punto di vista very Texan (Guy Clark, Mickey Newbury, Kris Kristofferson, Townes Van Zandt, Kinky Friedman), ha regalato opere irrinunciabili: vedi il già citato esordio, il magnus opus in formato doppio Lp Lubbock (On Everything) (1979) e Human Remains (1996) – quest’ultimo con Byrne ospite in ben 4 numeri.
Dopo la pluriennale collaborazione con Lloyd Maines (padre, ricordiamo, di Natalie Maines, leader delle stracciaclassifiche Dixie Chicks), per una volta Allen si affida a un altro produttore, nientemeno che l’attuale chitarrista di Bob Dylan nonché in passato consolleman per diversi nomi noti (Los Super Seven, Ryan Bingham, Lucinda Williams): Charlie Sexton. Sebbene Maines non manchi nel pingue cast di ospiti che distingue Just Like Moby Dick, con fra gli altri la riesumata Panhandle Mystery Band (pseudo gruppo negli anni apparso on & off accanto al protagonista), la cantautrice Shannon McNally, Richard Bowden, naturalmente la moglie Jo e i coautori di alcuni brani, Dave Alvin (Blasters) e Joe Ely. Ma crediti a parte, il focus resta il grande songwriting di Allen, sì poetico ma anche, e soprattutto, dissacratorio nel descrivere storie di profonda America, quasi egli fosse un Robert Altman/Raymond Carver prestato alle 7 note. E qui i vecchi estimatori possono goderne a vele spiegate, con un disco che è chiaramente un concept album ispirato, fra vaghezza e metafora, al mito della Balena Bianca “che doveva essere cacciata a tutti i costi” creato da Herman Melville. Non a caso, la piccola etichetta che pubblica l’opera, la Paradise Of Bachelors, prende il nome da un vecchio racconto di Melville, The Paradise Of Bachelors And The Tartarus Of Maids pubblicato in origine nel 1855 da Harper’s Magazine.
Terry Allen qui è semplicemente in stato di grazia nel giocare con l’arte dei suoni ma pure nella sua personale caccia alla balena, come dimostrano praticamente tutti gli episodi di Just Like Moby Dick: si tratti della suite in 3 parti American Childhood (Civil Defense/Bad Kiss/Little Puppet Thin), magistrale collage che affronta le più recenti guerre americane, in Iraq e in Afghanistan; si tratti del famoso prestigiatore che appare in Houdini Didn’t Like The Spiritualists preso da una crisi esistenziale (l’illusione che vorresti diventasse realtà, senza alcuna chance che accada); si tratti del sequel, volutissimo e con “mal di mare”, della Pirate Jane vergata da Bertolt Brecht & Kurt Weill tanti decenni fa, con i pirati di Allen assetati non di acqua ma di sangue; si tratti del circo infestato di vampiri di City Of The Vampires, che a proposito di sequel allude non poco al Neil Young di Vampire Blues; si tratti di Death Of The Last Stripper, un plot che sarebbe degno di un film firmato dal già evocato Altman; o si tratti della corale e conclusiva Sailin’ On Through dove, a definitiva saldatura del cerchio, la balena melvilleiana è citata esplicitamente.
Sigillo di classe definitivo a Just Like Moby Dick è il packaging dell’album, impreziosito da riproduzioni delle opere di Thomas Chambers, pittore anglo-americano che nel 19° secolo fu un po’ il contraltare visivo di Melville. Dettagli che nella tela musicale di Terry Allen sono un mondo vero e proprio.
Foto: Terry Allen con, fra gli altri, David Byrne e Lucinda Williams
Terry Allen, Caged, 1996