Con Patti Smith dedita a tirar su famiglia, Laura Nyro e Joni Mitchell impegnate nella musica ma con il contagocce e, soprattutto, nuove leve che mancavano all’appello, l’avvento di Suzanne Vega a metà anni 80 fu davvero un toccasana per la musica al femminile: dopo di lei fu un diluvio di cantautrici armate di chitarra, a volte di piano e di belle canzoni – Michelle Shocked, Tracy Chapman, Mary Chapin Carpenter, Sarah McLachlan, Victoria Williams, k.d. lang, Tori Amos, Ani DiFranco, Sheryl Crow, Shawn Colvin, Dar Williams, Lisa Loeb, Patty Griffin, Jewel, Fiona Apple e molte altre. Non solo, visto come si appassionarono a lei Lenny Kaye (che le produsse i primi 2 album), Lou Reed e Jerry Garcia, la cantautrice californiana trapiantata a New York sembrava davvero possedere quello shining riservato a pochi/e. Piccolo aneddoto: all’incirca ai tempi dell’esordio, furono 2 appassionatissimi promoter italiani, Adelmo Quadrio e Gigi Bresciani, a farla conoscere fuori dei patri confini, ospitandola in Italia e organizzandole i primi concerti lontano di casa. Piccole storie, in quest’epoca di marketing feroce e di condivisioni social selvagge, che meritano di essere ricordate.

Suzanne Vega

La ragazza sbarazzina di un tempo, adesso è una fascinosissima signora con alle spalle una decina di album – non molti, visti i 35 anni d’attività discografica – nonché una striscia di canzoni divenute dei veri e propri classici, verbo di tantissime giovincelle di buone speranze (musicali). Questo nuovo live, An Evening Of New York Songs And Stories, è il perfetto bigino di tutto quello che fa Suzanne Vega, fra eleganza innata e una sensibilità di scrittura senz’altro fuori del comune.

Il disco è un po’ il suo unplugged lontano dagli anni 90, quando il programma di MTV senzaspina imperava e regalava spettacoli/dischi di prim’ordine. Ad accompagnarla è un piccolo combo guidato dall’ormai fidato Gerry Leonard, chitarrista irlandese anche suo produttore con lei ormai da qualche anno (i 2 li abbiamo visti passare anche nei palchi d’Italia) – e sideman di David Bowie sia live sia in studio nel trittico Heathen (2002), Reality (2003) e The Next Day (2013). Ne risulta poco più di 1 ora dove davvero passa in rassegna un mondo, quello della Vega, che non ha mai rinunciato a una certa evoluzione stilistica nella quale il lavoro svolto con il produttore ed ex marito Mitchell Froom ha senz’altro aiutato, da questo punto di vista.

La cantautrice californiana dal vivo con Gerry Leonard

Non mancano i suoi i hit più amati, vedi Marlene On The Wall, Luka (così bella che Barry Moore, fratello di Christy Moore, anche lui musicista, si ribattezzò Luka Bloom proprio in onore del pezzo – Bloom, invece, è tratto dall’Ulisse di James Joyce, dove il personaggio principale si chiama Leopold Bloom), Cracking e l’apoteosi di Tom’s Diner, proto rap cantautorale che ha fatto epoca. A questi si avvicendano brani non meno affascinanti sebbene più recenti, vedi magnifiche pagine come Anniversary (che più Joni Mitchell di così si muore), Ludlow Street, Tombstone, la perla Pornographer’s Dream, Thin Man, fino all’ode della sua amatissima città d’adozione con New York Is A Woman.

Con Lou Reed in concerto a Praga in onore di Václav Havel, 2009

A sigillo di tutto, un omaggio all’amico scomparso e vecchio mentore Lou Reed (1942-2013): all’inizio Suzanne ricorda la prima volta che vide l’ex Velvet Underground dal vivo nel 1979, con lei studentessa non ancora 20enne, e come l’esperienza le cambiò la vita; e a seguire una bella, eterea e incantevole Walk On The Wild Side – nell’ugola della Vega tutto tranne che tinta di cliché. Obbligatorio rammentare, peraltro, che oramai negli anni 90, quando la tecnica mash up non era ancora di moda come oggi, il famoso pezzo di Reed e Tom’s Diner furono mashupati in una versione dance pirata che nei club newyorchesi fece proseliti. A proposito di radersi le gambe e passare da lei a lui – o anche a Lou.