Il titolo Est’d 1969, forse un po’ criptico per chi non mastica l’inglese, sta per established 1969 – fondati nel 1969. E fan 50, se la matematica non inganna. Ossia gli anni che Maddy Prior si porta sul groppone la sua creatura dalla line up sempre in evoluzione e dalla discografia oramai imponente fatta di quasi 25 dischi in studio: naturalmente stiamo parlando degli Steeleye Span, con Pentangle e Fairport Convention (e forse anche Led Zeppelin e Jethro Tull, se piace essere trasversali), una delle grandi istituzione del folk revival d’Albione. Lei, Lady Maddy, è la matriarca del gruppo – ed è pure una delle grandi voci che hanno reso leggendario il genere attraverso gli anni, con l’Ape Regina Shirley Collins a dare la scintilla e via via Annie Briggs, Norma Waterson, Jacqui McShee, Sandy Denny e Linda Thompson a formarne il template.

Il cinquantennale è celebrato in modo onesto e dignitoso: un tour che sta tenendo impegnati gli Span un po’ ovunque nel Regno Unito preso dal caos Brexit e naturalmente con il disco che mette sigillo al personale giubileo della band. Lavoro che però qualche mal contento lo scopre, leggendo i crediti. Tolta la Prior, l’unico elemento vagamente storico della band è il batterista Liam Genockey, un late comer che si è unito a Maddy giusto sul finire degli anni 80 – il che significa niente Ashley Hutchings, John Kirkpatrick, Peter Knight, nemmeno l’ex marito della leader Rick Kemp, Terry & Gay Woods, Bob Johnson, Nigel Pegrum, senza scordare il grande Martin Carthy, ossia coloro che negli anni 70 contribuirono non poco alla prosperità della formazione. Però di Kirkpatrick troviamo il figlio, Benji Kirkpatrick. Accontentiamoci. Detto ciò, l’album che ne è uscito suona più che buono: basta non aspettarsi la gloria dei leggendari Hark! The Village Wait (1970) o Parcel Of Rogues (1973), che resta chiaramente inaccessibile. Qui il discorso è più che altro indirizzato ai vecchi affezionati delle avventure Span.

Forse il sound non ha l’aura della narrazione tradizionale che ai giorni di gloria Steeleye Span rendeva tutto molto fascinoso, distinguendo non poco le loro opere passate agli annali. Detto ciò, Est’d 1969 vanta sicuramente dei buoni momenti, come i quasi 7 minuti di Mackerel Of The Sea, avvincente showcase delle note doti di performer della Prior; la suite iniziale Harvest, che fondamentalmente unisce 2 brani a tema “agreste”; The Boy And The Mantle (Three Tests Of Chastity), tiro folk gotico e bell’intervento di Sophie Yates al clavicembalo; The Old Matron, bell’esercizio folk rock con ospite uno scintillante Ian Anderson al flauto e che, appunto, profuma intensamente di Jethro Tull; fino allo straordinario January Man, brano del 1970 scritto dal folksinger Dave Goulder qui in una distesa ripresa roots, con rapsodico intervento di fiddle e cantata in modo ineccepibile da Maddy (per chi interessato, numero già nel repertorio di gente come Bet Jansch, Christy Moore e proprio l’ex Span Martin Carthy in una versione tuttabrividi a cappella). Il resto, da Roadways a Domestic fino a The Cruel Ship’s Carpenter, è forse troppo prevedibile e forse pure ridondante – ma si tratta di peccati veniali che al cospetto di 50 anni nello showbiz sono facilmente perdonabili. Già, established 1969! Vi lasciamo con un indovinello: dove-come-quando David Bowie suonò con gli Steeleye Span? Phil Spector è l’indizio che vi possiamo dare…