I Royal Trux sono l’epitome dei veri cattivi in un mondo di finti buoni, con Neil Hagerty–Keith Richards e Jennifer Herrema–Anita Pallenberg pericolosamente calati nella parte, fin da quando si conobbero nei lontani anni 80 mentre Neil con Jon Spencer era il braccio armato dei Pussy Galore. Si diedero l’addio, artistico e personale, proprio con l’inizio del Nuovo Millennio (toh, poi sono arrivati sulle loro orme formazioni uomo-donna ridotte ancor più all’osso very alternative ma di successo planetario, dai White Stripes fino ai Kills). Adesso i Trux sono tornati, prima con la prova generale di come back del live Platinum Tips + Ice Cream (2017) e ora con il primo album di studio in 19 anni, che per non farsi mancare niente e stabilire che non sono cambiati di un’oncia si intitola White Stuff, con tutti i sottintesi facili da intendere che il titolo si tira dietro. A tal proposito, osservare attentamente la cover art del disco, quanto mai esplicita.
In questi 2 decenni la Herrema non ha combinato molto – mentre Hagerty ha vivacchiato fra dischi in solo e con i Howling Hex, in verità musica piuttosto stanca se paragonata a quella fiammante del duo negli anni d’oro, i 90. Il rapporto fra loro lo ha riassunto Jennifer con una recente battuta fulminante: «Io e Neil Hagerty non abbiamo parlato per un lungo periodo. Mi ha scritto 3 email in 12 anni, per dirmi quando ognuno dei 3 gatti era morto». Puro, macabro Stones sponda Keith-Anita.
Da vecchi fans ci siamo approssimati a White Stuff con cautela, forse con qualche pregiudizio pensandoli dei rottami di un’epoca oramai sepolta. Invece hanno avuto ragione loro a provarci di nuovo, perché questo è il classico album che non ti aspetti – e che ti convince in fretta, forte anche dell’egida Fat Possum Records, l’etichetta di Oxford, Mississippi, che ha sempre avuto un taglio crudo ma di grande qualità artistica (nel loro catalogo R.L. Burnside, Junior Kimbrough, i best seller Black Keys e addirittura gli ultimi Stooges dell’eccellente Ready To Die). I 2 non hanno perso nulla del piglio stile gattacci randagi, di gente che vive di notte e ai margini. Anzi, qui li troviamo convinti e convincenti come (o quasi) ai tempi dei loro dischi più belli: quei Thank You (1995), prodotto da David Briggs in libera uscita dal giro Neil Young, e Sweet Sixteen (1997) che li misero sulle mappe del miglior alternative rock americano dell’epoca.
Subito ci si mette la title track a farci capire che Neil & Jennifer non scherzano: rattle & hum sinistri che più Rolling Stones di così si muore. Bentornati, davvero. Per quasi 1 ora ci si diverte con riff che escono da fogne molto Exile On Main Street, tipo l’appiccicoso mid tempo Suburban Junky Lady (capolavoro dell’album), il rock a fil di rasoio Whopper Dave oppure il caos più o meno sotto controllo dei 2 capitoli Purple Audacity. Il ritorno dell’anno è servito: Royal Trux carichi, carichissimi di White Stuff. Roba buona, tagliata alla perfezione.