Amica intima di Joni Mitchell, ex moglie di Wim Wenders, costar del leggendario film Nashville (1975) di Robert Altman (per il quale fu candidata all’Oscar), perno dylaniano del periodo Desire/Rolling Thunder Revue (1975-76), madre della nota scrittrice Sarah Blakley-Cartwright. Ancora? Protagonista di film diretti da Walter Hill (Driver l’imprendibile, 1978), dall’allora marito (lo straordinario documentario sul regista Nicholas Ray, Lightning Over Water/Nick’s Movie, 1980) e da Wes Craven (Nightmare, 1984 – l’horror più famoso di sempre?); oppure diversi camei in album di calibri pesanti tipo Kinky Friedman, Hoyt Axton e Leonard Cohen (splendidi i suoi interventi vocali nel Phil Spector–produced Death Of A Ladies’ Man, 1977 – vedi True Love Leaves No Traces, Iodine e soprattutto Memories). Se non lo avete capito, stiamo parlando della brillante e poliedrica Ronee Blakley – che, fra le tante cose, fin dagli anni 70 si è ritagliata il proprio angolo di cielo anche come cantautrice e music performer, a cominciare all’omonimo esordio del 1972 (special guest l’amica Linda Ronstadt) e Welcome (1975), prodotto/arrangiato nientemeno che da luminari quali Jerry Wexler e Barry Beckett.
Ronee Blakley nel film Nashville di Robert Altman (1975)
Dopo un paio di decenni di silenzio discografico, la signora dell’Idaho è da oramai una dozzina d’anni abbondanti che è tornata a far sentire la propria voce nel mondo discografico – e con questo nuovissimo Atom Bomb Baby, titolo più che mai azzeccato, sembra davvero mettere suggello a un percorso ragguardevole. Ronee, per dirlo chiaramente, non è il classico esempio di attrice annoiata che si toglie lo sfizio di fare dischi – tutt’altro: la musica è parte integrante di tutto ciò che è e fa Lady Blakley. Vedi anche come l’album, fra l’altro registrato ai losangelini studi Groove Masters di Jackson Browne (gli stessi dove nel 2012 Bob Dylan incise Tempest), sia tutto prodotto e suonato da ella stessa senza un minimo di tentennamento.
Ronee con la band che l’accompagna in Hurricane: Dave Alvin, Chad Watson, Don Heffington, Robert Miles
Atom Bomb Baby parte subito a razzo con la cover di Hurricane, uno dei pezzi più celebri del Nobel – che, peraltro, bizzarramente non è mai stato coverizzato a profusione come, per dire, Blowin’ In The Wind o Knockin’ On Heaven’s Door; sebbene Ani DiFranco, i Roots e Phil Lesh & Chris Robinson (Grateful Dead/Black Crowes) nel tempo abbiano regalato belle soluzioni a un brano così complesso ed epocale. Ronee era la voce femminile che accompagnava His Bobness nella versione originale in Desire – quindi, è un po’ come impadronirsi completamente di qualcosa che, almeno un po’, già era suo. E che versione, gente: la Blakley spara una cannonata di quelle roboanti, puro woman power d’attacco con la stessa artista seduta al piano e la band che la segue feroce – con il front line nientemeno che lo spettacolare Dave Alvin (Blasters, X, Knitters) alla chitarra. Champion of the world? Campione del mondo – per 8 minuti abbondanti! Giù il cappello. Piccola nota: è il 2° pezzo di Dylan inciso da Ronee, che già si era cimentata in Just Like A Woman ai tempi di I Played It For You (2007), colonna sonora per l’omonimo docufilm dai lei diretto e interpretato con l’ex marito Wenders.
Nel 1975 insieme a Bob Dylan
L’album, comunque, non si ferma certo lì – visto che l’artista è pure una cantautrice di razza (chi ricorda Bette Midler che fece la sua magnifica American Beauty?), degna compare della vecchia amica Joni. The Wind And Beyond, per esempio, voce e chitarra con eco Buffy Sainte-Marie è roba di carattere forte e fiero; così come le pianistiche Songs Round The Fire e A Thing Of Beauty hanno il sapore del folk classicheggiante di Judy Collins che s’incontra le ballate di brother Jackson; What Was The Reason, stentoreo blues full band fra passione e rasoiate; per non parlare dell’emozionante George Floyd, Oh Mama, dove Ronee sputa l’anima in un gospel a cappella dedicato ai noti fatti di razzismo che hanno portato, lo scorso maggio a Minneapolis, alla cruenta uccisione per mano della polizia dell’afro-americano George Floyd. Di gran pregio anche la cover del noto public domain country Little Joe The Wrangler (qui intitolato Redux Little Joe), con un bel tiro tipo quando i Blasters o gli X guardano verso il Grande West. Meraviglia delle meraviglie, infine, la title track: 13 minuti e oltre di talkin’ giusto voce e djembe degno di certe performance dello scomparso John Trudell e, di nuovo, della già avocata Sainte-Marie. Ronee Blakley, gran signora atomica – non vi è che dire!