Non che sentissimo il bisogno di una doppia antologia di Robert Plant – ma visto che c’è, Digging Deep: Subterranea 2 righe le merita. Tutto nasce dalla recente serie di podcast (una volta li chiamavano programmi radio…) che l’ex tenore dei Led Zeppelin ha regalato ai suoi fan snocciolando pensieri, segreti e umori di molte sue canzoni soliste. La discografia, boccheggiante di idee, ha visto bene di accompagnare il tutto con questa uscita – che naturalmente all’amo attacca lì un paio di inediti e 1 brano raro, per non farsi sfuggire gli assatanati iper fan del Martello degli Dei.

Prima di addentrarci nel contenuto, è bene subito sputar fuori i malumori che la raccolta ci ha fatto crescere dentro. Prima di tutto manca 1 dei numeri più clamorosi che Percy (il suo soprannome fin dai primi 70s) ha regalato negli anni, non importa se con o senza gli Zep: ossia quella Win My Train Fare Home (If I Ever Get Lucky), rielaborazione della leggendaria Train Fare Home Blues di Muddy Waters, che davvero è uno dei momenti più alti della sua intera carriera (vi consigliamo la versione con i Tinariwen del film Le festival au Désert, ripreso nel cuore del Mali). Continuiamo? Certo. Nemmeno un pezzo da Raising Sand (2007), il disco in duo con Alison Krauss prodotto da T-Bone Burnett che fece incetta di Grammy ma, sopratutto, regalò musica da pelle d’oca.

Robert Plant

Mancano pure pezzi fondamentali presi qui e là dalla sua discografia, vedi Far Post (una b side – ma che b side!), Come Into My Life (che vedeva ospiti Richard Thompson e Máire Ní Bhraonáin dei Clannad), Liars Dance, Tie Dye On The Highway (chi rammenta lo strepitoso videoclip con Way Gravy? Noi sicuramente – e Youtube è lì per farlo riscoprire…), All The King’s Horses, neppure Please Read The Letter che regalò il brivido di una nuova, grande (grandissima) canzone scritta con Jimmy Page. O anche qualche perla tratta dalle collaborazioni con Ralph Stanley, Afro Celt Sound System, Buddy & Julie Miller, Scott Matthews, Primal Scream, Tori Amos, Fairport Convention e Amy Cook. Così come le sortite nei tributi a Rainer Ptacek, Fats Domino, Elvis Presley o Arthur Alexander. Niente.

Tolto il dente delle lamentele, ecco gli inediti (o brani rari che siano). Assolutamente da applausi il lento made in New Orleans Nothing Takes The Place Of You, tratto dalla colonna sonora del misconosciuto film Winter In The Blood (2013): pezzo dell’altrettanto misconosciuto Toussaint McCall reso celebre nel 1967 dal soulman eroe Stax Records William Bell, che Percy inchioda con una performance tutta pathos di quelle che solo lui è capace di regalare. In altre parole: solo per questo pezzo, Digging Deep: Subterranea merita download, acquisto vinile/Cd o quello che volete voi – basta che lo facciate vostro!

Plant durante il concerto della reunion dei Led Zeppelin, Madison Square Garden, New York, 14 maggio 1988
© Don Emmert/AFP/Getty Images

Plant e Patty Griffin stanno ancora insieme? Chi lo sa – non gli siamo stati sulle tracce, fatti loro. Ma la nuova sortita della coppia, Too Much Alike, è gran bel duetto sospeso fra countrydoo-wop western che annulla la distanza fra le Midlands inglesi e il Texas. PS: noi tifiamo perché stiano ancora assieme. Volevate un antipasto del prossimo (e si spera imminente) album della sua penultima creatura (l’ultima sono i Sensational Space Shifters), i Band Of Joy con Patty Griffin appunto, Buddy Miller e Darrell Scott, come lo stesso Percy afferma nelle note d’accompagnamento? Se il buongiorno si vede dal mattino, Charlie Patton Highway (Turn it Up, Pt. 1) è tantaroba nel nome di un blues roboante ma sincopato perso fra il Mississippi e Headley Grange. Dopo il deludente Carry Fire (2017) stiamo davvero incrociando le dita.

Il singer-songwriter inglese con Patty Griffin

Non importa se siate dei novellini o degli affezionati del Plant post Dirigibile, il resto che troverete nei 30 pezzi di Digging Deep: Subterranea è comunque una buona introduzione e un buon complemento della vecchia antologia Sixty Six To Timbuktu (2003) all’arte di un musicista che mai si è riposato sugli allori – e che al posto di diventare una specie di incrocio fra Rod Stewart e Tina Turner, buono per le classifiche e il revival, ha invece cercato sempre percorsi avventurosi. Vedi come ha giocato di fino e di classe dalla magica Darkness, Darkness degli Youngbloods, a certi suoni mediterranei di Big Log; dalla Silver Rider dei Low portata a estrema sensualità, alle perfette frequenze FM di 29 Palms; dal tagliente traditional Satan Your Kingdom Must Come Down (l’avrà imparato dagli Uncle Tupelo? Chissà…), ai suoni 80s scintillanti ma non privi di fascino di Ship Of Fools; dai Los Lobos di Angel Dance, fino alla poderosa Zep goes to Africa Takamba.