Figura emblematica della canzone d’autore italiana dagli anni 70 alla fine dei 90, Pierangelo Bertoli (1942-2002) spazia con la sua musica dal pop al rock affidandosi a testi diretti, densi di riferimenti sociali, politici e con espliciti suggerimenti su come affrontare la vita. Uno dei brani che a mio giudizio lo rappresentano al meglio, A muso duro (dall’omonimo album del 1979), è un valido esempio della forza e della speranza alle quali ogni essere umano deve aggrapparsi per affrontare il percorso della vita e andare avanti nonostante i tanti, tantissimi ostacoli…
(“Ho sempre odiato i porci ed i ruffiani/E quelli che rubavano un salario/I falsi che si fanno una carriera/Con certe prestazioni fuori orario…”)
Questa quartina racchiude in sé tutta la personale – direi condivisa – rabbia che scaturisce dallo scontro nei riguardi di questo Sistema carente e insufficiente di valori, altalenante e poco chiaro, che troppe volte lascia prevalere il nulla a discapito del reale merito. Non per questo, però, dobbiamo lasciarci inghiottire da esso senza lottare. Ecco, allora, che dopo la rabbia non ci resta che rimboccarci le maniche e continuare ad andare avanti. Di sicuro ciò che ci circonda sarà difficile e ingiusto ma mai arrendersi, grida forte Bertoli: al contrario dobbiamo proseguire lungo la strada, ognuno portando avanti il proprio pensiero, dritto come il più forte dei guerrieri, evitando di piegarsi ai soprusi e ai ”dosaggi esatti degli esperti”. È necessario difenderci con l’arma più tagliente ed efficace che si possiede (in questo caso, la penna e la voce contro l’arroganza dei discografici) e affrontare tutto a muso duro:
(“Canterò le mie canzoni per la strada/Ed affronterò la vita a muso duro/Un guerriero senza patria e senza spada/Con un piede nel passato/E lo sguardo dritto e aperto nel futuro […] Canterò le mie canzoni a tutti loro/E alla fine della strada/Potrò dire che i miei giorni li ho vissuti”)
Voglia di libertà (Petra, 1985) è invece un invito più che mai presente a seguire le proprie aspirazioni artistiche:
(“Vorrei poter suonare ancora un po’/E poi seguirti fino in capo al mondo/Mi vestirei di stracci come so/E sarei pronto a fare il vagabondo e a raccontare a tutti il mio passato”)
A cosa si riferisce Pierangelo Bertoli con le prime strofe di questa canzone? La libertà di cui si parla è quella di un uomo affogato e trascinato quasi per inevitabile inerzia da un mondo beffardo fatto di costrizioni e da un Sistema troppo spesso ingombrante che impedisce di “volare” e di potersi esprimere liberamente. La voglia di libertà è semplicemente questo, ma non solo: è voglia di raccontare, guardare con gli occhi liberi di un bimbo. E con schiettezza esprimersi, entrare in contatto con tutti indipendentemente dal colore della pelle, dal ceto sociale, dall’interesse in genere. Però ci vuole coraggio, ma “se non l’hai dentro non lo puoi trovare”…
(“Specchiarmi e farlo senza ipocrisia nell’acqua dove affonda la bugia/Lavare dal mio cuore la vergogna/Dei compromessi fatti in questa fogna/È facile parlare ma il coraggio se non l’hai dentro non lo puoi trovare…”)
Non si pensi però che i testi di Bertoli abbiano solo contenuti di protesta: a parlare è anche l’amore e le prime, tenere emozioni. È quello che accade, per esempio, in La prima pioggia (Italia d’oro, 1992):
(“Fu una nuvola casuale sul mattino/che colse l’innocenza e la calura/che spinse due ragazzi da un giardino/al riparo dentro a un tetto e quattro mura”)
Un po’ di pioggia, un tetto, quattro mura, due ragazzi: ingredienti ideali per dolci momenti. E così, costretti per cause di forza maggiore a trovare un riparo di fortuna, i due giovani amanti danno vita a un turbolento quanto mai delicato approccio sentimentale che procede in modo graduale, ma non troppo:
(“…e lui con le mani circondò i suoi fianchi/dicendo che cercava di asciugarla/lei gli scostò i capelli dalla fronte/lui capì che era il consenso per spogliarla”)
Lentamente, avvicinandosi sempre di più con movenze delicate e gentili dettate dall’istinto del momento, la coppia sembra scordarsi del timore iniziale e dà inizio alla sua danza d’amore, sotto la pioggia battente, al riparo nel suo “castello improvvisato”:
(“E la pioggia cadeva convinta/sulle cose sulla gente senza trattenersi più/e la pioggia copriva compiacente/testimone di un istante che perdeva le virtù”)
Chiudiamo con una canzone scritta in collaborazione con Luca Bonaffini e cantata in duetto con Fabio Concato: Chiama piano, dall’album Oracoli del 1990. Un autentico inno alla speranza, senza mai perdere di vista il prossimo. All’occorrenza non si è soli, c’è sempre qualcuno su cui contare chiunque esso sia: un amico o un amore. E non importa quanto sia lontano, perché sentimenti d’amicizia, amore o affetto hanno quasi sempre il potere di annullare le distanze. Basta chiamare e sicuramente qualcuno si accorgerà delle nostre debolezze e dei nostri umori altalenanti:
(“Quando credi d’essere sola su un atollo in mezzo al mare/Quando soffia la tempesta e hai paura di annegare/Chiama, chiama piano sai che non sarò lontano/Chiama, tu, chiama piano/Ed arriverò io in un attimo, quell’attimo anche mio”)
“In questa società sempre più individualista è difficile, ma non impossibile, pensare al prossimo” (Crise)
P.S.: Grazie ad Afro Boldrini per avermi fatto incontrare Pierangelo Bertoli.