I tempi siderali fra un disco di studio e l’altro di Peter Gabriel vanno ben riempiti con qualcosa: con qualche suppellettile che ci ricordi dell’esistenza di un tizio che ha fatto il frontman dei Genesis per poi lanciarsi in una delle carriere in solo più creative degli ultimi 40 e passa anni. Benvenuti a Rated PG, ricercato titolo che richiama le valutazioni in inglese per lettere (adottate anche nel cinema americano dagli organismi di controllo-censura) e non per numeri come da noi. Antologia di pezzi sparsi in colonne sonore varie – e spesso, spessissimo numeri molto interessanti.
Peter Gabriel
Diciamolo subito: qui non troverete estratti né di Birdy (1985), né di Passion-Music For The Last Temptation Of Christ/L’ultima tentazione di Cristo (1989) e né di Long Walk Home–Music From “The Rabbit-Proof Fence”/La generazione rubata (2002). Per quelle colonne sonore dovete rifarvi ai dischi originali, come giusto che sia, poiché opere organiche che sarebbe inutile scomporre a caso. Non troverete nemmeno brani che, all’opposto, avrebbero meritato di comparire e che sarebbero stati alquanto azzeccati nell’idea che tratteggia questa raccolta. Quali? Beh, sicuramente Lovetown, tratta da Philadelphia (1993), che ebbe solo la sfortuna di condividere il proscenio con pezzi di Bruce Springsteen e di Neil Young che ebbero molto più successo (nonché baciati dagli Oscar, vinto dal Boss con Streets Of Philadelphia e con il Loner canadese che anch’egli fece parte delle nomination per la miglior canzone, con la sensazionale Philadelphia); la cover della beatlesiana/lennoniana Strawberry Fields Forever, tratta dal documentario All This And World War II (1976); oppure quella paranoica perla sconosciuta che è The Veil, “gettata ai porci” nella soundtrack di Snowden (2016). Lo sappiamo, sofismi di vecchi, appassionati ascoltatori – anche perché Rated PG, 10 canzoni per 50 minuti tondi, suona lo stesso benissimo anche senza quei brani appena evocati.
Peter Gabriel con Nusrat Fateh Ali Khan
Quanto troverete qui dentro non è certo di secondo piano, a partire dall’ultra melodica (e oseremmo dire gershwiniana) opener That’ll Do, tratta da Babe 2-Pig In The City/Babe va in città (1998), cover dello stimatissimo amico Randy Newman; fino al closer con l’arcinota In You Eyes tratta da So (1986) ma usata anche in Say Anything/Non per soldi… ma per amore (1989), con PG che detta legge sopra un tappeto di magnifiche voci che si rincorrono, ossia il fratello senegalese di diverse sortite musicali Youssou N’Dour, il maestro del canto nonché compianto mostro sacro della musica qawwali pakistana Nusrat Fateh Ali Khan e Jim Kerr dei Simple Minds, l’alleato di tante compagnie di sensibilizzazione. Come l’eccezionale meeting con appunto Ali Khan in Taboo, da Natural Born Killers/Assassini nati (1994), paradigma di culture che si incontrano e si amano nel nome della world music più entusiasmante. Come la quasi unplugged Nocturnal, tratta da Les Morsures de l’Aube/Love Bites-Il morso dell’alba (2001), pezzo atipico in termini gabrieliani, con chitarre acustiche in primo piano. Come le montagne russe con echi Genesis ma anche slanci arabici che distinguono Speak (Bol), tratta da The Reluctant Fundamentalist/Il fondamentalista riluttante e in duetto con il giovane pakistano Atif Aslam. Come Down To Earth, saporoso frutto scritto con Thomas Newman (American Beauty e tanto altro) per l’avveniristico cartoon WALL•E (2008). Come The Book Of Love, magnifica cover dei Magnetic Fields per Shall We Dance? (2004), che da svagato folk da camera che era nel capolavoro 69 Love Songs (1999), dilagante triplo album che sublimava il genio di Stephin Merritt, qui trova pieno trattamento made in Bath – così bella che Peter non la dimenticò per il suo cover album Scratch My Back (2010), dove risplende nella stessa versione (anche se di una ventina di secondi più lunga).
L’ex Genesis e Randy Newman
Come in This Is Party Man per Virtuosity (1995 – bizzarramente in italiano reintitolato come Virtuality… ridere per non piangere!), frutto della collaborazione compositiva con Tori Amos, nel nome dell’intreccio delle generazioni ma anche degli stessi intenti emozionali. Come Everybird, tratta da un altro cartoon addirittura di produzione bosniaca, Birds Like Us (2017), che dobbiamo ammettere non conoscevamo: ed è una grande scoperta, nel nome del PG più impalpabile e avvolgente nonché da mettere in loop per quanto strega. Come la buona Walk Through The Fire per Against All Odds/Due vite in gioco (1984), dannatamente 80s ma che, tuttavia, non vale le meraviglie che l’ex Genesis regalava all’epoca di Peter Gabriel 4 (1982) e del già citato So. Concludendo: mettetevi pure comodi in poltrona con luci bassissime e attenzione affilata, il Peter Gabriel al cinema funziona che è un piacere!