Pensavate che Who, New York Dolls, Velvet Underground, Allman Brothers Band, Planxty, The Band, Steely Dan, Van der Graaf Generator, addirittura i Beatles, persino i Led Zeppelin e chissà quanto altri non si sarebbero riuniti, mai e poi mai? Mai dire mai. Ma che la Penguin Cafe Orchestra potesse rinascere era contro il calcolo di qualunque probabilità. Non fosse altro che Simon Jeffes, il nome-cardine dell’ensemble inglese, se ne è andato oramai nel 1997 a causa di un tumore al cervello, ad appena 53 anni. Un po’ come se venissero a mancare Keith Richards o Tom Verlaine – sarebbe, è certo, che no more Rolling Stones e Television (salvo deepfake o chissà quale altra diavoleria). Ed eccoci, invece, tutti quanti smentiti – la Penguin Cafe Orchestra c’è!
Meglio spiegarsi, però. Il gruppo ha tagliato il nome in giusto Penguin Cafe ed è rinato grazie al figlio dello scomparso leader, Arthur Jeffes, che oramai da una dozzina d’anni naviga i mari della musica all’ombra di un passato leggendario. Certo, Jeffes Sr è stato uno dei sicuri geni della musica colta inglese, che con dischi come Music From The Penguin Cafe (1976 – uscito per la leggendaria Obscure Records di Brian Eno, fra l’altro coinvolto come executive producer), Penguin Cafe Orchestra (1981) e Signs Of Life (1987) si è ritagliato il proprio angolo di Paradiso nel nome di voli pindarici a volte world, a volte cameristici, a volte prog, a volte avanguardisti e il più delle volte tutto ciò insieme. Fa anche specie che in questa nuova avventura non siano coinvolti i fondatori Steve Nye, Helen Liebmann, Gavyn Wright e sopratutto Geoffrey Richardson, che di Simon Jeffes fu insostituibile braccio destro a partire dal secondo album PCO – immaginiamo che il grandissimo polistrumentista sia troppo impegnato con i Caravan nonché con i suoi excursus solisti. Tant’è.
La nuova avventura del Pinguino funziona, perbacco – anche perché non gioca alla cover band ma propone musica ex novo. A partire da A Matter of Life… (2011), cui sono seguiti altri 2 lavori, il mito della musica paterna è sorprendentemente rinato – grazie anche all’intuizione di coinvolgere colleghi piuttosto disparati, a livello di spettro musicale: Cass Browne (Gorillaz), Neil Codling (Suede), Oli Langford (Florence and the Machine) e Darren Berry (Razorlight). Arthur e i suoi li avevamo lasciati alle prese con il concept album The Imperfect Sea (2017), ispirato alle terre artiche – e ora tornano con questo gran bel Handfuls Of Night, trionfo di sezione archi, pianoforte, synth e harmonium che volano uniti e liberi come impone il marchio registrato PCO. Anch’esso concept album, figlio del precedente e fra l’altro commissionato da Greenpeace, teso a sensibilizzare sulla drammatica situazione che, toh, i pinguini stanno affrontando nell’Artico, dove il global warming li minaccia di estinzione.
Se cercate una decina di numeri dove si aprono infiniti panorami fatti di suoni vividi, dove profondità e levità si confondono in un tutt’uno – eccovi accontentati: basta farsi trasportare quando scorrono Adelie, il colossal cinematico Chapter, la trasparente folktronica Pythagoras On The Line Again (da padre in figlio: atto 2° di Pythagoras On The Line, che trovate in Union Cafe del 1993, ultimo capitolo in studio del gruppo guidato da Jeffes Sr), Winter Sun, The Life Of An Emperor e Midnight Sun, tutti movimenti circolari ed espansivi come da perfetta tradizione Penguin Cafe Orchestra fra aria, tempi e spazi!
Foto: La Penguin Cafe Orchestra negli anni 80, con Simon Jeffes e Geoffrey Richardson