Sono oramai quasi 20 anni che Norah Jones, fra grazia innata e grande musica, è fra noi – e quello che si è capito di lei è chiaramente una cosa, su tutte: che, a proprio modo, ha adottato il metodo Neil Young. Che consiste nell’appoggiarsi a fasi alterne a gruppi, ma sarebbe meglio dire set up musicali, diversi ma pronti all’uso, a seconda della luna e sui quali si può far affidamento quando si vuole: Crazy Horse, CSN&Y, Stray Gators, International Harvesters, Shocking Pinks – giusto per nominare solo alcuni fra quelli dell’illustre collega. L’irrequieta Norah ha fatto, più o meno, lo stesso: prova ne è la galassia di uscite che fanno riferimento alla texana nientemeno che figlia di Ravi Shankar, vedi discografia maestra, Little Willies, Puss N Boots, collaborazioni di peso con Ryan Adams e Danger Mouse. Senza scordare le regolari sortite tese ad ampliare lo spettro stilistico, con pressoché lo scibile della musica a stelle & strisce e oltre (Willie Nelson, Mavis Staples, Keith Richards, Herbie Hancock, Lila Downs, OutKast, Dayna Kurtz e via via).
In Pick Me Up Off The Floor, che doveva essere già in commercio da circa un paio di mesi salvo poi essere rimandato per i noti problemi planetari legati al coronavirus, è un po’ come se Norah avesse scelto il suo set up più classico, come quando il Loner Canadese decide di dedicarsi alla luna Harvest-Comes A Time-Harvest Moon, per intendersi. Già, perché se negli ultimi album a suo nome, nella fattispecie Little Broken Hearts (2012) e Day Breaks (2016), Norah sembrava essere sedotta più da una certa ispirazione alternative anziché jazz e roots, qui si punta dritto a ciò che l’ha resa celebre: i primi 2 album ma anche lo splendido Not Too Late (2007), il disco che la fece evolvere da pura interprete ad anche cantautrice. Suoni quadrati nelle proprie intrinseche sinuosità, niente divagazioni.
Per raccontare l’album la Jones ha usato parole che è giusto riportare – e che spiegano quel “tirarmi su da terra” cui si riferisce il titolo: «Vivere negli Stati Uniti – ma anche in questo mondo – negli ultimi anni, penso che vi sia un senso generale che fa dire alla gente “Alzami… alziamoci da questo pasticcio e proviamo a capire alcune cose”. Se trovate oscurità in questo album, non è pensata come senso di sventura – ma come desiderio umano di unirsi. Alcune delle canzoni, anche quelle più personali, si applicano anche ai problemi più grandi che stiamo affrontando. E alcune delle canzoni che riguardano cose molto specifiche, molto più grandi, sembrano anche personali». Tradotto: il vecchio adagio “il pubblico è privato” in versione Norah-la-texana, forse? Sembra proprio di sì.
Norah Jones con Jeff Tweedy dei Wilco
In Pick Me Up Off The Floor s’incontra tutta una serie di gran nomi che l’accompagnano, sessionmen di prim’ordine: l’oramai irrinunciabile Brian Blade (batteria), Mauro Refosco (il grande jolly brasiliano delle percussioni, che molti ricorderanno pluriennale stretto collaboratore di David Byrne ma anche di Thom Yorke), Chris Thomas (basso), John Patitucci (contrabbasso) e diversi altri che i più attenti avranno già visto comparire in lungo e in largo nella scena americana contemporanea. L’album ebbe già a marzo un’anticipazione con il singolo I’m Alive: scritto con il Wilco Jeff Tweedy, che troviamo anche in session accompagnato dal figlio Spencer (batteria), bell’esercizio dove si colgono nitidamente gli stili di una e dell’altro, mano nella mano. Un bel sentire, che però non è il cuore del lavoro. Per quello bisogna spostarsi da altre parti. Tipo nella notturna Were You Watching?, quasi un Nick Cave in versione Norah e con quel violino che fa molto Warren Ellis. Oppure nel jazz di Heartbroken, Day After che profuma di certe vecchie venture di Tom Waits e di Bette Midler modello Raymond Carver/Charles Bukowski. O, ancora, Say No More, dolce ma sinistra, dove i rimandi a Joni Mitchell e a Carole King non sembrino rassicuranti, perché i riflessi di quelle 2 storiche cantautrici sono alle rispettive dark side. Se poi il tocco leggero, circolare e minimal di How I Weep vi ricorda Aimee Mann, non sbagliate; così come non sbagliereste se in To Live vi sembra che risuonino la Band e Allen Toussaint, un paio dei grandi amori musicali dell’ex ragazza che scalò le classifiche con Don’t Know Why e Sunrise. Norah Jones sarà anche una predestinata – ma che determinazione! Quella di chi non si è mai addormentata sugli allori.