Ci apprestiamo alla fermata emiliano-romagnola in quel di Bologna: “la Dotta Bologna”. Di questa terra ricca di grandi cantautori (e artisti in generale) vogliamo raccontarvi Lucio Dalla (1943-2012), le sue collaborazioni con il poeta Roberto Roversi (1923-2012, anche lui bolognese) e l’immenso talento che ci ha lasciati troppo presto… Partiamo da Il motore del 2000, canzone tratta dall’album Automobili del 1976.
(“Il motore del 2000 sarà bello e lucente/Sarà veloce e silenzioso/Sarà un motore delicato avrà lo scarico calibrato e un odore che non inquina/Lo potrà respirare un bambino o una bambina”)
Beh, se Lucio voleva fare una previsione su quello che si sarebbe verificato negli anni 2000… non ci ha proprio beccato! Il senso di queste prime parole è un po’ (dal punto di vista pubblicitario) il senso che aveva tutto il sistema: grandi promesse e grandi attese per come si sarebbe rivelato un motore, in quei fatidici anni dove ogni cosa sarebbe stata all’avanguardia. Ma talmente concentrato sullo sviluppo e sui giochi di potere, qualcuno avrebbe avuto il tempo di pensare a quei ragazzi del 2000? Si parlava di motore, ma l’uomo? Per lui il vento del nuovo millennio avrebbe soffiato aria pulita, o incancrenita da false speranze? In questo Dalla ci aveva visto giusto. E alla domanda va bene il motore, ma il ragazzo del 2000?, la risposta è più che mai sotto gli occhi di tutti!
(“…Noi sappiamo tutto del motore/Questo lucente motore del futuro/Ma non riusciamo a disegnare il cuore/Di quel giovane uomo del futuro/Non sappiamo niente del ragazzo fermo sull’uscio ad aspettare/Dentro a quel ghetto del 2000/Non lo sappiamo immaginare”)
L’automobile e lo sviluppo dei motori era – ed è – sinonimo di adorazione per i grandi miti. Dalla e Roversi, allora, si rivolgono a Tazio Nuvolari (1892-1953) omaggiandolo con il brano Nuvolari: elogio alla figura del grande pilota lombardo che viene descritta nei minimi particolari. Un mito per tantissimi italiani, che pur di vederlo sfrecciare erano disposti ad aspettare un’eternità, osannandolo e incitandolo a ogni suo passaggio in gara. Il più grande, il più spregiudicato, capace di sfidare il tempo e le intemperie…
(“Quando passa Nuvolari/La gente arriva in mucchio e si stende sui prati […] La gente aspetta il suo arrivo per ore e ore/E finalmente quando sente il rumore/Salta in piedi e lo saluta con la mano/Gli grida parole d’amore/E lo guarda scomparire […]”)
Di Automobili fanno anche parte Intervista con l’Avvocato, Mille Miglia, L’ingorgo e Due ragazzi.
Continuiamo il nostro viaggio nell’universo dalliano con altri 2 brani, non perdendo mai di vista il significato dei suoi testi. Ecco, allora, che la forza di Se io fossi un angelo (Bugie, 1985) si diffonde fra il pubblico all’inizio di un concerto a Tindari, in Sicilia, non appena il cantautore e musicista comincia a sussurrare al microfono: «Io credo nella presenza di elementi misteriosi, in mezzo alla gente…». In quel contesto, parlando al cuore del suo pubblico, Lucio confessa che se dopo la morte esistesse davvero una rinascita… lui sì che rinascerebbe angelo. Non uno di quegli angeli dipinti nelle cattedrali o uno dei cherubini del Paradiso di Dante Alighieri ma un angelo più laico, il più laico di tutti: l’angelo custode. Colui che nelle tradizioni e nelle favole è la nostra ombra che interviene per salvarci; che ci consiglia e ci parla nei momenti difficili del nostro quotidiano cammino. Un angelo “alto biondo invisibile” diverso da tutti gli altri, in volo in mezzo alla gente, da un paese all’altro, cercando di combattere l’ingiustizia, le guerre, le ricchezze e i loschi traffici che ne derivano. Parlerebbe con Dio rivolgendogli un’unica domanda e poi non parlerebbe più, rischiando magari di piombare giù, all’Inferno…
(“I potenti/Che mascalzoni/E tu cosa fai/Li perdoni/Ma allora sbagli anche tu/Ma poi non parlerei più/Un angelo/Non sarei più un angelo/Se con un calcio ti buttano giù […] Ma poi l’Inferno cos’è a parte il caldo che fa/Non è poi diverso da qui”)
Lucio conclude affermando che gli angeli, in fondo, non sono nei cieli ma fra gli uomini: sono gli esseri soli, quelli più deboli, che sono capaci d’amare con continuità e senza barriere:
(“E se tra gli uomini/Nascesse ancora Dio/Gli ubbidirei/Amandolo a modo mio…”)
Terminiamo con uno dei suoi massimi capolavori: La casa in riva al mare (singolo, Itaca sul lato B, 1971). Storia d’amore fra un detenuto (forse un ergastolano) e lei, una donna che tutte le mattine vedeva dalla sua cella e le aveva dato il nome di Maria. Un amore vero, o frutto della sua fantasia? Il solo fatto di poterla vedere tutti giorni era per lui motivo di speranza. Si era immaginato di poterla incontrare una volta uscito dal carcere. Per vivere insieme il resto della vita.
(“Dalla sua cella lui vedeva solo il mare/Ed una casa bianca in mezzo al blu/Una donna si affacciava, Maria/È il nome che le dava lui/Alla mattina lei apriva la finestra/E lui pensava quella è casa mia/Tu sarai la mia compagna, Maria/Una speranza e una follia […] E sognò la libertà e sognò di andare via/Un anello vide già sulla mano di Maria”)
Poi però giunge la fine di tutto, il tempo passa inesorabile, deteriora il fisico ma lascia intatto il sentimento e indelebile il ricordo:
(“E gli anni son passati tutti gli anni insieme/Ed i suoi occhi ormai non vedon più/Disse ancora la mia donna sei tu/E poi fu solo in mezzo al blu”)
“Quante volte ci è capitato di amare con un tale trasporto da togliere il fiato. Che sia esso vero o frutto dell’immaginazione è pur sempre amore. Anzi, lo è di più!” (Crise)