Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando nei primi 70s con John Prine, Bruce Springsteen, Steve Goodman e Elliott Murphy, Loudon Wainwright III faceva parte del new Dylans club: da allora ha sposato un paio di donzelle già molto famose; figliato diversi pargoli che sarebbero diventati celebri; ha collaborato assiduamente con alcuni colleghi di assoluto prestigio (da Richard Thompson a David Mansfield); è divenuto consuocero di Leonard Cohen (la fecondazione artificiale lesbo-gay funziona…); si è vestito da attore lasciando sempre il segno in perfetti ruoli da caratterista ma non solo (l’epocale telefilm M*A*S*H, Jacknife, Big Fish, Elizabethtown, The Aviator, Knocked Up/Molto incinta); e, soprattutto, ha regalato una trentina di dischi che sono fra l’assoluto meglio del cantautorato USA degli ultimi 50 anni: di quello dove satira, commento sociale, affari di famiglia e interiorità si confondono in un tutt’uno, quasi fosse il contraltare in 7 note del cinema di Woody Allen. Adesso, per dire, con Bob Dylan che si è ampiamente dedicato a Frank Sinatra e Bryan Ferry che ha regalato ben 2 album di suoi vecchi pezzi ri-arrangiati in chiave jazz anni 20/30, anche Loudon si toglie lo sfizio di un lavoro che si rifà alle generazioni di suo padre (Loudon Wainwright Jr., apprezzatissimo giornalista e colonna del magazine Life) e di suo nonno.

Loudon Wainwright III

Ecco che all’improvviso con I’d Rather Lead A Band siamo catapultati nell’era del Cotton Club, del proibizionismo, di Duke Ellington, di Johnny Mercer, di Hoagy Carmichael, di Harold Arlen, delle big band, di Francis Scott Fitzgerald, di Louis Armstrong & The Hot Five/Hot Seven, dei gangster, di Cab Calloway, di Ernest Hemingway, di Ella Fitzgerald, di Humphrey Bogart, di Jimmy Dorsey, delle bische dove si beveva e si giocava impuniti, di Raymond Chandler, di Richard Rodgers & Lorenz Hart, di Bing Crosby, di Ray Milland, di James Van Heusen, dei musical hollywoodiani, di Gene Austin, di Glenn Miller, di Ginger Rogers & Fred Astaire. Insomma, in quello che potremmo indicare come il Rinascimento Americano, fase imprescindibile del secolo scorso sia per lo spettacolo sia per la cultura. La chiamano ancora adesso l’Età Dorata mica per nulla.

Loudon all’epoca del telefilm M*A*S*H

Loudon in pura jazz age, in sostanza? La logica c’è, eccome, e si rifà allo spettacolo di recente portato in scena, Surviving Twin, sfociato in un film concerto per Netflix (2018), un po’ la risposta al suo sfidante new Dylans Bruce il Boss e al suo Springsteen On Broadway (2017-2018). Wainwright, tipo sofisticato che è sempre stato e sempre sarà, per quello show si è rifatto in gran parte agli editoriali che scriveva suo babbo per Life – «Se hai sei o sette anni e stai guardando i tuoi genitori vestiti a festa, è sexy. È stato bello e potente. Quella era la musica che amavano e che anche i loro genitori adoravano», butta lì figlio oramai ultra 70enne. Erede che da pischello, per intendersi, giocava con Liza Minnelli, figlia dell’amica di famiglia Judy Garland (non chiedetevi dove Rufus Wainwright abbia preso l’idea d’incidere Rufus Does Judy At Carnegie Hall…), e si trovava come tutor 2 o 3 noti rampolli del clan Kennedy.

Vince Giordano, © Charlie Gross

Con lui sono Vince Giordano & The Nighthawks, orchestra che i più attenti avranno notato in Cotton Club (1984) di Francis Ford Coppola, in diversi film di Woody Allen – da Tutti dicono I Love You (1996) a Café Society (2016) – e nel serial Boardwalk Empire (2010-2014). Ma soprattutto, il sax di Giordano ha marchiato a fuoco quasi tutta la discografia del grandissimo Leon Redbone (1949-2019). Loudon e band si concentrano sugli anni 20 e 30 – e li stappano con l’euforìa con cui si deve stappare una bottiglia di sciampagna, di quella buona e inebriante. Il leggendario ragazzaccio del folk e Vince con la sua large band, detto in breve, portano a casa tutto come meglio non si potrebbe.

Vince Giordano & The Nighthawks, © Aiden Grant

14 brani, quasi 45 minuti e tanto swing. I’d Rather Lead A Band mantiene ciò che promette: vedi So The Bluebirds And The Blackbirds Got Together, pura matematica per le dancehall; la stessa I’d Rather Lead A Band, gioia per le orecchie se cercate quel suono fat delle vecchie orchestre; My Blue Heaven, avvolgente musical compresso in nemmeno 3 minuti e sottili tocchi a la Redbone; You Rascal You (I’ll Be Glad When You’re Dead), contagiosa esuberanza per dance figure e verve come se piovesse; fino alla trionfale Between The Devil And The Deep Blue Sea, che quella lingua biforcuta di Loudon Wainwright III infila sexy come il miglior vestito per la festa del suo defunto, amato genitore. Missione compiuta: qui dentro gli anni 20 e 30 si toccano, s’annusano, s’ascoltano e… si ballano!