Di diritto d’autore molti ne parlano ma pochi ne sanno davvero qualcosa. Fra costoro vi è sicuramente Michele Bovi, stimato giornalista con molte esperienze: già capostruttura di Rai 1 con programmi per Dario Fo e Fiorello, direttore del telegiornale della Repubblica di San Marino, direttore del Corriere di Romagna, autore di programmi come Eventi Pop per Rai 2 – un CV di prim’ordine, insomma. Ladri di canzoni è il suo 6° libro (fra cui si conta anche Tg2 Mistrà, antologia di poesie a soggetto confezionate per l’omonima rubrica televisiva di Bovi al Tg2 da Pasquale Panella, noto paroliere per Lucio Battisti, Amedeo Minghi e Zucchero Fornaciari) ed è un interessante excursus su celebri e meno celebri controversie tra musicisti, discografici e quant’altro spesso finite in aule di tribunale.
Ve ne è per tutti i gusti: Francesco Guccini e Karol Wojtyła; George Harrison e Zucchero; Francesco De Gregori e Andrew Lloyd Weber; Gigi D’Alessio e Giacomo Puccini; Roberto Carlos e Lucio Dalla; Luciano Pavarotti e Michael Jackson; X Factor e Frank Sinatra; Sanremo e Led Zeppelin; e chi più ne ha, più ne metta. Storie a volte ilari e altre volte drammatiche, ben congegnate da Bovi in un elenco alfabetico che va dalla A alla Z mettendo in fila grandi casi e storie anche miserabili di chi si attacca a tutto pur di avere un riscontro monetario.
La lettura è molto scorrevole e al di là dei singoli episodi, 2 sono i punti che agli occhi di chi scrive sono emersi come davvero rilevanti. Il primo è la sbalorditiva sommarietà di metro di giudizio che nel tempo si è usata nelle varie controversie. Per esempio, il noto caso di Gino Paoli e la sua Sapore di sale (1963), la cui musica si rifà in modo palese a Le rock de Nerval (1961) di Serge Gainsbourg, non ha mai avuto risvolti giudiziari semplicemente perché l’editore francese e quello italiano dei brani avevano rapporti (d’affari) eccellenti. Per contro, sapete qual è l’unica volta che i Beatles hanno fatto causa per plagio a qualcuno? Capitò con il povero francese Antoine, che i più rammenteranno negli anni 60 come rivale di Johnny Hallyday, il quale si vide recapitare una bella carta bollata per la sua Votez pour moi, ritenuta identica a Yellow Submarine (in verità, ascoltato il brano, a noi sembra simile a 100 pezzi jug band). Voi pensate che fu davvero papa John–Paul–George–Ringo a volere il sequestro del disco, i profitti comunque fatti e 50.000 franchi di previsionale per risarcimento danni? Certo che no – fu tutto imputabile a beghe fra editori che, per così dire, non si volevano bene.
L’altro punto che pare molto chiaro alla lettura è che sì, vi sono i casi celebri di citazioni in giudizio per canzoni famosissime come My Sweet Lord (1970) e Stairway To Heaven (1971) – ma spesso è capitato che cause per plagio siano venute alla ribalta per brani minori, sconosciuti, sovente semplicemente bruttarelli e via di questo passo. Voi pensate che abbiano rotto le scatole a Burt Bacharach per I Say A Little Prayer (1967) o per Walk On By (1963)? Scordatevelo – le grane le ha avute una decina di anni fa per Oh The Way You Love Me, che scommettiamo nessuno si ricorda se interrogato su due piedi, mentre di Aretha Franklin annata 1968 che con voce vellutata modula gli immortali versi ”Forever, forever, you’ll stay in my heart/And I will love you/Forever and ever we never will part” vi ricordate tutti. Che dire di Francesco De Gregori? La querelle pluriennale che lo ha visto protagonista in tribunale non è mica figlia di uno dei tanti pezzi di Bob Dylan o di Leonard Cohen che il Principe ha citato, ritagliato o bellamente copiato – no, è per un brano molto passabile come Prendi questa mano, Zingara tratto dal suo album forse meno riuscito, Prendere e lasciare (1996) prodotto da Corrado Rustici. Diciamolo forte: I cigni di Balaka (1987) di Al Bano & Romina Power e Will You Be There (1993) di Michael Jackson fanno a gara per nulla se non per bruttezza – eppure hanno fornito i rotocalchi di una storia infinita degna di una telenovela messicana stile Anche i ricchi piangono.
Come detto, il libro di Bovi è una lettura molto stimolante che ci sentiamo di consigliare – ma non è scevra di omissioni né di qualche errore per lo più storico. Omissioni/errori che abbiamo avuto modo di comunicare e di discutere amabilmente in privato con l’autore stesso. Fra le mancanze, non possiamo tacere che non sia stato contemplato un capitolo dedicato a John Fogerty: la sua vertenza processuale con Saul Zaentz, patron della Fantasy Records oltre che produttore cinematografico con molti riconoscimenti (3 Oscar: Qualcuno volò sul nido del cuculo, Amadeus e Il paziente inglese), è un caso epocale, in ambito rock secondo solo a quello George Harrison/Chiffons per My Sweet Lord. Per chi non ricordasse, Fogerty fu citato in giudizio da Zaentz per la canzone The Old Man Down The Road (1985), ritenuta troppo simile a Run Through The Jungle (1970) dei Creedence Clearwater Revival… bizzarria delle bizzarrie, entrambe scritte dal buon Fogerty!
Gli errori, come detto, sono più che altro di carattere storico (anche se, per dirne uno, Stairway To Heaven dei Led Zeppelin, ben 2 volte, è riportata come Starway To Heaven – vedi pagine 287-88 ) – eccone 2-3, fra gli altri: a pagina 142 Allen Klein è fatto passare per manager dei Verve, quando invece fu meramente colui che i Verve voleva spennarli con la nota faccenda Bitter Sweet Symphony/The Last Time; a pagina 287 risulta che Woody Guthrie fosse vivo e vegeto nel 1973 mentre, in verità, morì nel 1967; a pagina 329 il paciarotto Sugar Fornaciari, intervistato dall’autore, assicura che la folgorazione per Joe Cocker gli venne quel dì in cui vide il cantante di Sheffield nel film Woodstock eseguire Delta Lady – peccato che nell’intera esibizione, fatta di 11 numeri eseguiti, e pertanto nel film il Cocker non cantò il (bellissimo) pezzo di Leon Russell dedicato a Rita Coolidge.
Michele Bovi, Ladri di canzoni – 200 anni di liti musical-giudiziarie dalla A alla Z, Hoepli Editore, 350 pagine, € 24.90
Foto: Michele Bovi con Dario Fo