Che bello che era negli anni 80/90, quando Peter Gabriel e David Byrne rivaleggiavano a colpi di album di Nusrat Fateh Ali Khan e di Tom Zé, di folk sardo e di esplorazioni afro, di Totó la Momposina e di Susana Baca, di musica tibetana e di salsa, dei Blind Boys Of Alabama e di Shoukichi Kina. Era l’epoca quando furoreggiavano la Real World e la Luaka Bop, rispettivamente le personali case discografiche dell’ex Genesis e dell’ex Talking Heads – esistono ancora sebbene a regime ridotto, visti i tempi grami e i media disattenti. Nella loro poliedricità, naturalmente, non mancarono nemmeno di far da talent scout a 2 gran stoffe cantautorali americane: Joseph Arthur e Jim White che, simbolicamente ma non solo, esordirono nel 1997 sotto l’egida dei 2 loro titolatissimi padrini e, appunto, relative label.
Jim White, Union Chapel, Londra, 2006
Con la Luaka Bop Jim White vi è rimasto dall’esordio con Wrong-Eyed Jesus! (The Mysterious Tale Of How I Shouted Shouted Wrong-Eyed) fino a Transnormal Skiperoo (2007), per poi continuare in autonomìa comunque con dischi di assoluto valore, fino a questo nuovissimo Misfit’s Jubilee – pubblicazione N° 11, se si includono le divagazioni con Hellwood e Mama Lucky, quest’ultimo con Linda Delgado. Senza scordare, inoltre, il suo imperdibile film-documentario Searching For The Wrong-Eyed Jesus (2003), pellicola dove al Gesù dagli occhi strabici si accodavano ospiti David Johansen (New York Dolls), Cat Power, David Eugene Edwards (16 Horsepower) e diversi altri colleghi – roba che se vi è sfuggita siete sempre in tempo ad afferrarla, per quanto non abbia perso nulla del grande fascino che esercitò all’uscita. Il tutto con il solito, poco convenzionale, modo di creare musica di White – una specie di Tom Waits meets David Lynch meets David Byrne meets Raymond Carver meets Levon Helm capace di scandagliare nel lato oscuro della vita dei Southern States degli USA, dove i racconti in forma canzone che parlano di disadattati e di reietti sono quelli di una specie di rigattiere – che dagli apparenti scarti sa presentare merce di gran valore, pronta per un mondo fantasmagorico dove i personaggi sono caricatura e metafora.
© Cico Casartelli
Misfit’s Jubilee è il cocktail di un tizio eccentrico che ha chiare le idee di come calibrare di tutto, dal pop al blues, dal folk al gospel, dal country al rock – senza soluzione di continuità se non il “marchio di fabbrica Jim White“, che per l’occasione registra il tutto ad Anversa in Belgio, come a voler guardare da lontano la Southland (in verità Jim è californiano, nel Profondo Sud si è trasferito). Ne risulta un gran vortice dov’è molto bello esser trascinati, si tratti di Highway Of Lost Hats con bei tocchi Stones epoca Exile On Main St. (1972) o di My Life’s A Stolen Picture con il gospel intinto nei Talking Heads; dell’ancora caleidoscopio iper-byrneiano di The Divided States Of America (“Il nostro ultimo briciolo di decenza è andato a ramengo/Guarda come i vicini paiono un po’ degli sgorbi“) o della follies molto Brian Wilson di Wonders Never Cease; fino al lucido ritratto Sum Of What We’ve Been, leggero come le migliori vignette a tinte 7 note Ray Davies/Kinks.
Quello che davvero piace di Jim White è il non essere adatto a tutti, in quest’epoca di istinti repressi dove qualunque cosa deve somigliare identicamente a tutto il resto. White, d’altra parte è un tizio che, come spiega assai bene in un suo verso, ha quell’idea delle cose che “Se la vita è un tornante su un’autostrada perduta/Arrendiamoci, chiudiamo gli occhi e preghiamo” – nel nome di una musica personale, visiva e fatta d’atmosfera alquanto unica. Puro giubileo del disadattato, insomma.