Qualche giorno fa, in una delle mie solite passeggiate senza una meta precisa, sono entrato in un negozietto di dischi (uno dei pochi rimasti). Mi piace ancora entrare in quelle che definisco “officine della musica”: varcata la soglia, sono andato dritto al reparto dei cantautori italiani. Scorrendo rapidamente fra i miei preferiti, stavolta la mia attenzione si è fermata sull’album Dal Vivo Volume 3 – Tour Acustico di Ivano Fossati (2004, Columbia), compendio dei concerti tenuti nei teatri a partire da novembre 2003.  Ammetto che Fossati non è tra i miei favoriti in assoluto, però è uno di quei cantautori ad avermi in qualche modo condizionato. Ed è stato più forte di me… ho dovuto comprare questo disco! Come avrete intuito, il nostro viaggio musicale in terra ligure non può che proseguire, dopo Fabrizio De André, con il protagonista della “canzone popolare”.

Ivano Fossati è nato a Genova nel 1951, nel quartiere di Marassi, da una famiglia di operai. Come ha dichiarato in un’intervista: «Il rischio di lasciarsi trascinare da compagnie sbagliate e instabili è stato molto alto, ma la passione e l’amore per la musica che non ammettevano distrazioni, né buone né cattive, mi hanno in un certo senso salvato».

Ho iniziato a seguirlo con attenzione fin da ragazzino, soprattutto per la sua collaborazione con De André. A colpirmi è stato l’amore smisurato che comunica in ogni sua canzone: amore per una donna, per la patria, per le persone umili e dimenticate, per “gli ultimi”… E amore per la propria città, che può essere vista nella sua intera bellezza solo dal mare: “Chi guarda Genova sappia che Genova si vede solo dal mare. Quindi non stia lì ad aspettare di vedere qualcosa di meglio, qualcosa di più di quei gerani che la gioventù fa ancora crescere nelle strade”.

Parlando ancora dell’amore, di quel sentimento eterno che è fatto di passato, presente e futuro, ecco risuonare forte il Bacio sulla bocca. Si racconta di quell’amore che ci fa rifiorire, che ci porta a scordare il resto del mondo.

(“Bella che ci importa del mondo, verremo perdonati te lo dico io da un bacio sulla bocca, un giorno o l’altro” )

È un amore senza freni che ci invoglia a sognare, che ha bisogno di essere urlato, raccontato, ballato come un walzer. Un amore che ci guarda le spalle, che durerà per sempre e che il tempo non sfiorerà.

(“E tu sei il genio scaltro della bellezza che il tempo non sfiora/ah, eccolo il quadro dei due vecchi pazzi sul ciglio del prato di cicale/con l’orchestra che suona fili d’erba e fisarmoniche”)

Anche il tema del tempo diventa per Fossati un pretesto per scrivere una canzone, per me fantastica, intitolata C’è tempo. Il tempo è quello che detta il ritmo alla vita di ognuno di noi; e a seconda di come ci lasciamo trasportare da esso, il nostro cammino segue il suo percorso e non importa se possiamo aver smarrito la strada: sarà sempre il tempo a farcela ritrovare.

(“È tempo che sfugge, niente paura che prima o poi ci riprende/perché c’è tempo, c’è tempo c’è tempo, c’è tempo per questo mare infinito di gente”)

In ogni relazione che sia travagliata, pulita, sbarazzina o lontana, l’importante è non limitarsi – come qualcuno dice – ad aspettare che qualcosa accada, ma continuare a sognare.

(“Dicono che c’è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare/Io dico che c’era un tempo sognato che bisognava sognare”)

È pura poesia quella di Ivano Fossati, che porta nel testo una grande musicalità che si riesce a cogliere anche quando la canzone viene semplicemente recitata, come fa con Il disertore. In realtà, questo è un brano francese scritto da Boris Vian e per quanto riguarda la musica da Harold Berg. Conosciuto nel mondo come La Déserteur, è stato eseguito da Marcel Mouloudji per poi essere cantato dallo stesso Vian e da altri interpreti internazionali. Tradotto per la prima volta da Luigi Tenco ma rimasto inedito, è stato nuovamente tradotto da Giorgio Calabrese e la versione italiana più celebre, del 1992, è proprio quella di Ivano Fossati. Anche qui, in fondo, si parla d’amore: verso la vita. In una lettera al suo presidente, un soldato si rifiuta di proseguire una guerra non voluta e rimanda al mittente l’ennesima chiamata alle armi. E nel farlo, cerca di gridarlo a tutti quanti.

(“A tutti griderò, di non partire più e di non obbedire per andare a morire, per non importa chi. Per cui se servirà del sangue ad ogni costo andate a dare il vostro se vi divertirà”)

Frutto della collaborazione con il grande Faber è invece Smisurata preghiera di cui Fossati è autore della musica anche se, come vedremo, si sente molto coinvolto anche dalle parole. Il testo è tratto dalla Saga di Maqroll il Gabbiere del colombiano Álvaro Mutis; però De André non riscrive Mutis né traduce poesie o romanzi in canzoni, ma dà vita a un proprio pezzo avvalendosi della collaborazione di Mutis, Fossati e Piero Milesi. Anche Ivano, come Fabrizio, è sempre stato attento alle esigenze degli “ultimi“: coloro che nella vita hanno dovuto e continuano a soffrire; di quegli uomini che hanno poca voce perché non si organizzano in branco. E allora si rivolge al Signore affinchè si ricordi di loro regalandogli un “bonus” per la propria esistenza.

(“Ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco, non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare è appena giusto che la fortuna li aiuti…” ).

Come ha osservato in un’intervista radiotelevisiva: «Il testo l’ha praticamente scritto Fabrizio, mentre la musica è mia. Ma è un brano che è come fosse partito anche da me. Si sente bene lui e mi sento bene io, per la parte musicale. È la canzone, tra quelle fatte con lui, che ho più cara».

Anche se non c’è in questo disco, aggiungerei una canzone che a me piace molto ed è colma di significato: Ragazzo mio, scritta da Luigi Tenco e ben interpretata da Fossati. È un dialogo educativo fra un uomo e un adolescente; una libera chiacchierata in cui si mettono in discussione, capovolgendole, alcune idee che il Sistema sembra voler imporre all’uomo.

(“Ragazzo mio, un giorno ti diranno che tuo padre aveva per la testa grandi idee/ma in fondo, poi…. non ha concluso niente/non devi credere, no, vogliono far di te un uomo piccolo, una barca senza vela”)

Credo che ogni anima sensibile (che sia un cantautore, un poeta, uno scrittore, un pittore) potrà ritrovarsi in queste parole. Troppo spesso, infatti, ci si ferma a guardare le cose in superficie quando bisognerebbe spingersi oltre e non giudicare mai. Bisognerebbe credere nell’amore, ma non domandargli quello che non ci può dare.

(“Ragazzo mio, un giorno i tuoi amici ti diranno/che basterà trovare un grande amore e poi voltar le spalle a tutto il mondo/no, no, non credere, no, non metterti a sognare lontane isole che non esistono/non devi credere, ma se vuoi amare l’amore/tu non gli chiedere quello che non può dare”)

Dal Vivo Volume 3 – Tour Acustico, include altre canzoni come Una notte in Italia, Fratello che guardi il mondo, La pianta del tè, Cartolina, L’angelo e la pazienza, Pane e coraggio, Oh che sarà, Treno a vapore, L’uomo coi capelli da ragazzo e Notturno delle tre. Pezzi altrettanto belli ma, lo ripeto, ho voluto soffermarmi su quelle canzoni che hanno saputo arrivare in fondo alla mia anima. Portandomi a essere l’uomo che sono.