Anche all’epoca del coronavirus i Phish non perdono il gusto di scherzare. Scherzare sul serio. Ci spieghiamo. È l’appena scorso 1° aprile, giorno dell’April Fool’s che dai noi genera il famoso pesce, e nei canali social del quartetto del Vermont è sganciata la bomba: “Collegatevi alle 21 orario Costa Est – ascolto nuovo disco”, recitava il banner sparato nel web. Sembrava la classica burla. Senonché, a ruota, giunge ai phishphans un messaggio più articolato: “Quando abbiamo registrato l’album, non avevamo intenzione di pubblicarlo in questo modo. Ma oggi, a causa della situazione in cui ci troviamo, sembra giusto pubblicarlo così. Non sappiamo quando sarà la prossima volta che saremo tutti in grado di stare insieme. Questa è un’opportunità per avere un momento in cui la comunità Phish può condividere qualcosa nonostante sia fisicamente separata”.
Per l’appunto, CV o non CV, il 2020 sembrava l’anno buono per un loro nuovo album. Era nell’aria. Eccolo. Sigma Oasis, 1 ora e 10 minuti di puro Phish sound (quel suono gli affezionati lo chiamano Phishingrüven), inciso lo scorso novembre al Barn, lo studio di loro proprietà nella natìa Burlington – nonché qualche ritocchino fra New York, Atlanta e Nashville. Il tutto prodotto dal serio Vance Powell, consolle man che ha legato il proprio nome a molto del giro Jack White, mettendo firma a diversi progetti del rocker di Detroit: White Stripes, Raconteurs, Dead Weather, album in solo.
Dopo il “blocco dei lavori”, nel cuore degli anni 00, ritrovata la voglia di continuare sia in studio sia nelle arene del Nord America (immancabilmente sold out), Trey Anastasio & Co prima di questa uscita hanno pubblicato la discreta doppietta Joy/Party Time (2009), prodotta da Steve Lillywhite; e altri 2 album che hanno aperto ampio dibattito fra i fan, Fuego (2014) e Big Boat (2016), curati da un monumento del suono 70s quale Bob Ezrin, produttore che marchiò a fuoco album come The Wall dei Pink Floyd, il debutto post Genesis di Peter Gabriel, Berlin di Lou Reed e molti di Alice Cooper. Il risultato, specie nel deludente Fuego, ha mostrato i Phish imprigionati in un suono sovrabbondante, retorico, pomposo. In breve: acceleratore spinto a manetta sul loro animo prog. A noi che i Phish piacciono quando spingono più su margini giocherelloni, zappiani, deadiani, cosmici, emanazioni bluegrass e via dicendo, in sostanza, non sono piaciuti.
Ascoltato con massima attenzione Sigma Oasis, invece, rimaniamo incantati per come i 4 riescano a mettere in reset il passato più recente; anzi, a regalare il più bel lavoro dai tempi di Farmhouse (2000), il loro “disco Talking Heads”. Bizzarria per bizzarria, accantonato Ezrin, questa nuova uscita è quanto mai psico–Pink Floyd. Già, perché sono molti i passaggi in Sigma Oasis dove l’ombra floydiana si staglia poderosa: in Leaves, con quelle voci chi si rincorrono come ai tempi delle migliori alchimìe Roger Waters–David Gilmour; per non parlare di Steam, con quel passo decisissimo che rimbomba fra Echoes e The Dark Side Of The Moon; e pure in Steam si viaggia da qualche parte nei mondi onirici inventati decenni fa dal gruppo di Cambridge.
L’album non è, come che sia, solo un’ode ai Pink Floyd, anche perché i Phish non sono mica per niente uno dei regali più belli della musica americana da fine anni 80 a oggi. Si prendano le 2 lunghe jam Thread e Everything’s Right: se la prima è un claustrofobico tour de force che gioca, e pure molto, nei campi prog con volutamente mal celate tirate zappiane; la seconda è un excursus interstellar fra i più belli regalati in studio da Trey e i suoi cavalieri – roba facilmente accostabile alle loro migliori uscite sul genere, tipo The Divided Sky, Demand oppure First Tube (quest’ultima compone una trilogia con Last Tube e Inner Tube – rovistate, gente, rovistate… e unite i puntini).
Non contenti questi Phish 2020, che piacciono e convincono senza remora alcuna, viaggiano alto anche pure nell’orecchiabile brano guida; nella pianistica Shade con tanto di orchestra (niente a che vedere con la loro classica If I Could di 25 anni or sono, attenzione); e in A Life Beyond The Dream, mirabile ballad che profuma di contagioso rip off di Loving Cup, il pezzo dei Rolling Stones tratto da Exile On Main St. che i 4 da decenni hanno eletto a sicuro staple fra le (molte) cover proposte dal vivo. Sigma Oasis: il Phishingrüven a perfetta velocità di crociera.
Foto: Trey Anastasio, © Dave Vann