È a pezzi. Non ha più un beneamato cazzo da dire. E anche se ci provasse a buttar giù canzoni nessuno se lo filerebbe. Brutta fine per Iggy Pop, che però una chance (della disperazione) ce l’ha ancora. Nel 1976 – dopo il virulento ritorno di fiamma del 1973 con Raw Power by Iggy & The Stooges “benedetto” da David Bowie – se ne va a Berlino proprio con quel relitto umano tanto quanto lui. Bella coppia di scheletri l’Iguana col vizio del buco e il Thin White Duke col vezzo dello sniffo. Eppure ricominciano daccapo e agli Hansa Studios vista Muro incidono gli album delle rispettive rinascite – The Idiot, Lust For Life, Low, Heroes – testando ogni possibilità del mezzo elettronico. The Bowie Years è il boxset di 7 Cd che racconta i dischi “berlinesi” di (all’anagrafe) James Newell Osterberg Jr. In realtà sono appena 5 i mesi di 1 solo anno, il 1977, a separare The Idiot da Lust For Life: il 1° album esce il 18 marzo, il 2° il 29 agosto.
Iggy Pop, © Barry Plummer
Se il dostoevskijano The Idiot, che ti ipnotizza con quella copertina in bianco e nero con lui in posa robotica come Bowie su Heroes, è opera in noir avvolgente, espressionista, claustrofobica, alienante (Sister Midnight, Dum Dum Boys, Tiny Girls, Mass Production: quanti insegnamenti per Joy Division, PIL, Bauhaus, Siouxsie and the Banshees, Magazine, Nine Inch Nails…), mentre l’altra faccia delle tenebre corre sul filo di uno swing fuori di testa (Nightclubbing), un rock slabbrato (Funtime), una nenia perversa (Baby) e fulminee accelerazioni verso Oriente (China Girl), l’altrettanto black and white di Lust For Life – con sorriso smagliante, però, in primo piano, sinonimo di una serenità che sta per essere riacciuffata – vede Bowie limitarsi a svolgere un lavoro da gregario, di tessitura, giacchè il bandolo della matassa è nelle mani di Iggy. Si sbarazza di tutto ciò che suona kraftwerkiano, difatti, per darsi anima e corpo al rock stars and stripes e non più made in Europe, che mette in conto minuti da cardiopalmo (Some Weird Sin, Neighborhood Threat, Tonight) 2 gemme predestinate all’eternità (The Passenger, Lust For Life) e i 7 minuti che personalmente vorrei ogni volta non finissero mai, fra crooning e anarchico blues, sgranati da Turn Blue.
Sempre nell’Anno Domini 1977 genuflesso al Punk, Iggy & (l’ex)Ziggy se ne vanno a braccetto in tournée a diffondere urbi et orbi la crema di The Idiot (Sister Midnight, Nightclubbing, Funtime, China Girl); estratti con estrema cura da Lust For Life (la title track, Some Weird Sin, Turn Blue, Sixteen, Tonight); classici da The Stooges (1969, I Wanna Be Your Dog, No Fun) e da Fun House (T.V. Eye, Dirt) e probabilmente il meglio da Raw Power (la title track, Gimme Danger, Search And Destroy, I Need Somebody).
Sui palchi, accanto all’Iguana, il chitarrista Ricky Gardiner, il bassista Tony Sales, il batterista Hunt Sales e laggiù, relegato all’angolo e in penombra, un David Bowie demitizzato al piano e al sintetizzatore. Con questa scaletta, oltre a riproporre l’album dell’addio alla RCA intitolato T.V. Eye – 1977 Live con estratti dai concerti di Cleveland e Kansas City, The Bowie Years snocciola 3 registrazioni – Rainbow Theatre, London, 07/03/1977; Agora Theater, Cleveland, 21/03/1977; Mantra Studios, Chicago, 28/03/1977 – in passato oggetto di svariati bootleg.
Iggy Pop e David Bowie
Cerca infine di versare un po’ di sale sulla coda (dell’iguana, ovviamente) Edits + Out-takes, ma riuscendovi solo in parte. Sicchè potete riascoltare, seppur distrattamente, le single version di Sister Midnight, China Girl e la edit di Lust For Life; casomai riscoprire il proto punk del singolo I Got A Right; applicarvi di buzzo buono sugli alternative mix di Dum Dum Boys, Baby, China Girl, Tiny Girls e “rocking in fundo” concedervi un ascolto all’Interview with Iggy about recording The Idiot, districandovi fra Espressionismo, Dadaismo e… Mae West.