“Does anybody remember laughters”? Quante volte abbiamo aspettato di porre questa domanda, senza risposta, assieme a Robert Plant a metà del brano Stairway To Heaven, rivolgendoci al pubblico? Io personalmente tante. Anzi, quando ascoltavo la versione in studio tratta dall’immenso IV (nome in codice: Zoso) ne sentivo la mancanza. Ma andiamo per ordine. Recensire un disco dei Led Zeppelin è come recensire la Bibbia: se non sei credente, non ti interessa di “default”. Se lo sei, ogni parola ti sembra una bestemmia. Anche se nel corso degli anni (col tempo tutti i nodi vengono al pettine) perfino i non credenti hanno dovuto ricredersi. C’è un episodio che mi fa sempre sorridere. Fine ’70, all’alba del nuovo infausto decennio, gli Zep sono in sala di registrazione per una session. In uno studio attiguo, una giovane band, i Generation X (una delle tante che si aggrappava al carrozzone punk prima che la selezione naturale decretasse chi sì e chi no), vede passare i nostri affezionatissimi e comincia a schernirli e/o insultarli chiamadoli dinosauri, retrogradi, superati e quant’altro. Il più accanito di tutti è il cantante, tale Billy Idol. Ecco, a distanza di anni, a fronte di tutti coloro che non amano particolarmente i Led Zeppelin, vorrei sapere per cosa viene ricordato oggi il signor Idol, oltre che per i suoi capelli bianchi e quell’accattivante fossetta sul mento. Questo, per dire che la grandezza di un gruppo come gli Zeppelin è qualcosa di incommensurabile e insieme irripetibile. Una di quelle alchimìe che riescono un paio di volte ogni 2 decenni. E massimo rispetto al fatto che dopo la morte di Bonzo (John Bonham, il batterista) la band decide di sciogliersi invece di assoldare un nuovo drummer e proseguire facendo finta di nulla. (E ce ne sarebbero stati, di batteristi interessati al “business”).
In tutto ciò, The Song Remains The Same splende lassù come testimonianza di un’epoca e manifesto di un movimento che ha cambiato il modo di pensare al rock di tutte le generazioni a venire. Perché – e questo è il bello – il valore del doppio live più famoso di sempre va ben oltre quelli che sono i suoi meriti effettivi. Di sicuro, c’è stato un travaso di emozioni tra disco e film. Per cui, ogni volta che ascoltavi Celebration Day vedevi Jimmy Page col suo completo nero a stelle bianche che faceva correre le dita sul manico della chitarra al doppio della velocità consentita agli esseri umani. Un po’ come anni dopo è successo con The Wall dei Pink Floyd: un bel disco catapultato in orbita dall’omonimo film. Ma fra le performances dal vivo, questa del luglio 1973 al Madison Square Garden di New York non è certamente fra le migliori di sempre. Sia in termini di esecuzione, sia di sonorità. E la versione doppio Cd “remastered and expanded”, benchè presenti 6 tracce in più e una rotondità di suono nettamente superiore all’originale, pecca nel rispetto del mix di alcuni brani presi un po’ troppo a forbiciate, in certi momenti clou. In ogni caso, la sequenza è da panico: Rock ‘n’ Roll, Celebration Day, Black Dog/Bring It On Home, Over The Hills, Misty Mountain Hop, Since I’ve Been Loving You, No Quarter, Song Remains The Same, Rain Song, The Ocean, Dazed And Confused, Stairway To Heaven, Moby Dick, Heartbreaker, Whole Lotta Love. Praticamente, l’Enciclopedia del Rock. Dopo, niente sarebbe stato più lo stesso. Senza dimenticare che: a) siamo in periodo di reunions, e nemmeno gli Zep sono rimasti immuni al fenomeno; b) il revival Anni ’70 ha fatto sì che tutta la loro discografia sia disponibile su iTunes; c) l’antologia Mothership (tranquilli neofiti, c’è solo la parte più “strictly commercial”) sta spopolando fra grandi e piccini; d) perfino la copertina è entrata nella leggenda.
Led Zeppelin, The Song Remains The Same (1976, Atlantic/WEA)