Chi lo avrebbe mai detto che dalla maiuscola serie di album industrial-blues cominciata con Rue Morgue Blues (1988) e proseguita per un buon decennio sull’onda di una musica potente e radicale, avremmo trovato Hugo Race And The True Spirit 30 e passa anni dopo al loro disco Brian Eno? Immaginiamo che pochi vi avrebbero scommesso – eppure accade anche questo nel 2020, che per il gruppo australiano porta in dote Star Birth.

Decenni che hanno visto i True Spirit come entità mutante ma che qui può contare su alcuni dei nomi più illustri e “stabili” i quali, on & off, accanto a Race hanno accompagnato il gruppo in tutto questo tempo: Bryan Colechin (della partita fin dalla prima fatica dello Spirito Autentico), Nico Mansy, Michelangelo Russo, Chris Hughes, fino al più “recenteBrett Poliness. La wild side degli anni 90 è stata messa da parte in favore di un sound più meditato, con più che mai grandi inserti di elettronica ma dove pure non manca l’eterno amore per il blues – basti solo rammentare che Hugo e Michelangelo sono da non molto reduci dall’esperienza John Lee Hooker’s World Today (2017), ottimo e ricercato tributo al grande Re del Boogie.

Hugo Race

Già l’opener di Star Birth, Can’t Make This Up, con il proprio passo avvolgente spiega bene gli intenti dell’opera, che porta il gruppo a viaggiare in frequenze oramai apolidi e racconta di “menzogne in streaming“, come recita il testo. Interessante notare che Hugo nel raccontare il disco parla di «stelle che si allineano», visto che la registrazione è frutto di incroci fra Melbourne, Los Angeles e Berlino – e visto pure che, più di tutto, il lavoro è stato scritto nel natìo continente mentre migliaia di ettari andavano in cenere a causa del ben noto global warming nonché con lo tsunami Covid 19 in piena evoluzione. In effetti, quando girano Embryo, 2Dead 2Feel, Heavenly Bodies (“You’re the heaviest star/The hippiest in the sky/Catch you if you’re fallen/And we will float around” – a proposito di stelle lassù…), fino all’iperhookeriano Holy Ghost – per citare quelli che paiono i passaggi migliori fra la dozzina in sequenza – sembra di star ad ascoltare un’apocalisse quieta, quella di chi qualsiasi cosa accada sa sempre e comunque mantenere la propria coolness.

All’album vero e proprio si aggiunge Star Death, l’altra faccia della luna dove i True Spirit entrano ancor più nei meandri della musica elettronica che già, del resto, pervade Star Birth. Per lo più strumentale, il disco bonus gioca di espansione fra dub, remix e orchestrazioni cosmiche – roba da metter su nel cuore della notte e perdersi a scrutare il cielo, fra stelle nascenti e stelle morte.