Di una nuova biografia (l’ennesima) di David Bowie non se ne sente davvero il bisogno. E questa infatti non è una biografia; e neppure un’analisi storica delle sue opere. Questo è un racconto di suoni, immagini e sentimenti. È la storia di un rapporto speciale tra la rockstar e il giornalista/fan. Questi 2 termini vanno tenuti insieme: impossibile separarli, come sarebbe impossibile tenere separato il rapporto professionale da quello di stima e affetto che ha legato Stefano Bianchi a David Bowie lungo i 15 anni di saltuaria frequentazione (dal 1987 al 2002).
Conosco fin troppo bene e da troppo tempo Stefano per non sentirmi in questa occasione un po’ in imbarazzo: innanzitutto perché, appartenendo a un’altra generazione (quella dei Bob  Dylan e dei Leonard Cohen), sono stato troppo a lungo piuttosto sospettoso riguardo alla sovrabbondanza di trasformismi e mascherature; secondariamente perché riconosco di apprezzare il suo lavoro al di là di quanto avessi potuto prevedere. Lo conosco così bene nella sua ambivalente passione per la musica e per le arti figurative che non avrei dovuto sorprendermi per la qualità della parte visiva che arricchisce questo volume: ben 8 artisti hanno illustrato con altrettanti ritratti di Bowie le pagine di questo libro dalla veste grafica preziosa, mentre la breve introduzione di Ivan Cattaneo (altra personalità legata a questo mondo dal duplice interesse per suoni e immagini) mette in scena un ricordo di Bowie con tutta l’ironia e la sensibilità di cui è capace.
Dopodichè viene il lavoro dell’autore, in gran parte pubblicato su diverse testate (la maggioranza su Tutto Musica & Spettacolo e sul Buscadero): il toccante saluto iniziale “Ciao David”, la sequenza delle 5 interviste esclusive (dal 1991 al 1999), le conferenze stampa, le recensioni discografiche, fino agli ultimi articoli per CoolMag.
I giornalisti timidi, come gli attori che hanno curato la loro timidezza sul palcoscenico, mi sono sempre piaciuti: partono senza nascondere le loro emozioni, poi passo dopo passo scavano in profondità. E Stefano è indubbiamente un timido che sa conquistare la confidenza dell’intervistato. D’altronde, David Bowie non era senza dubbio una preda facile… Non tutte le sue parole erano illuminanti: c’erano le maschere del momento e anche la banale necessità di promuovere l’ultima produzione. Ma si potevano conquistare anche frasi più confidenziali, quelle dove lui si apriva e cercava di confessare i suoi innamoramenti, i suoi incubi e il suo bisogno di continuare a cercare. A volte descriveva allucinazioni terrificanti o gravi errori di cui si era pentito; a volte diceva di sentire il dovere di passare in rassegna il suo passato e le occasioni perdute; a volte progettava di fare tabula rasa per poi ripartire verso il futuro. In un’intervista cita Joan Halifax, esperta di buddismo zen: “la religione è per chi ha paura dell’inferno, la spiritualità per chi c’è già stato”. E certo lui all’inferno ci aveva fatto parecchi viaggi. A David non dispiaceva sfoggiare i molti interessi culturali: bazzicava le gallerie d’arte, ma anche la musica minimalista di Philip Glass; assorbiva voracemente gli insegnamenti del grande attore-mimo Lindsay Kemp, ma affrontava anche la lettura di ardui testi di filosofia. La sua comunque non è mai stata esibizione mondana ma sincera, inarrestabile curiosità. L’impressione che si ottiene da queste interviste è quella di una persona che non è poi così distante, quasi un amico che si confida.
Tuttavia la parte di analisi più strettamente musicale si trova nelle recensioni, dove Bianchi parla ai suoi simili (i fruitori e i fans dell’intero lavoro dell’artista londinese): recupera anche la prima produzione discografica, riedita dalla Rykodisc, e analizza con cura, di brano in brano, le tappe di una carriera e le infinite trasformazioni del suo eroe. È qui che il critico ci regala una delle sue frasi più illuminanti: “Il vizio preferito di David Bowie? È il harakiri”. Quante volte questo camaleonte, mai stanco di sorprendere, ha ucciso un’identità musicale e ricominciato da capo? E sarà sempre così, fino a Blackstar, il suo testamento.
Il racconto si chiude ovviamente con la scena dell’arrivo in casa Bianchi della notizia della morte di Bowie. L’elaborazione del lutto è stata lunga, ma ha portato a questo straordinario risultato.

Stefano Bianchi, For Ever and Ever – I miei 15 anni di David Bowie 1987/2002, gmebooks, 144 pagine, € 15

Foto: Franco Mariani, David Bowie, 2016
Edo Bertoglio, Bowie at Glen O’Brien’s Tv Party, New York, 1979
Denise Esposito, David Bowie, 2015