Sono tante le madcap che negli anni 60, se non la pelle, vi hanno lasciato i neuroni: Brian Wilson dei Beach Boys, Roky Erickson & Tommy Hall dei 13th Floor Elevators, Sky Saxon dei Seeds e naturalmente Syd Barrett dei Pink Floyd. La lista sarebbe incompleta senza Peter Green (1946-2020), spettacolare chitarrista/autore che prima con i Bluesbreakers di John Mayall e poi con la sua creatura Fleetwood Mac ha lasciato segni indelebili nella musica rock, psichedelica e blues. L’artista ci ha lasciati lo scorso luglio, cosa che sembra un eufemismo visto i decenni post Mac in preda a schizofrenìa e trattamenti psichiatrici che, fondamentalmente, ne hanno mutilato la carriera – nonostante i ripetuti tentativi di comeback orchestrati, il più delle volte, da manager senza scrupoli.

Peter Green

Qui, però, bisogna celebrare quello che è considerato l’apice dell’artista: quel Then Play On (1969) dei Fleetwood Mac che giusto ora è ristampato in Cd e vinile, rigorosamente nella sequenza UK e non quella yankee, in edizione deluxe con tanto di bonus tracks che faranno felici i cosiddetti “completisti” e di note firmate da Anthony Bozza, biografo ufficiale della saga Mac; e da Mick Fleetwood, batterista e co-fondatore della formazione. Da segnalare, fra l’altro, che l’ex compagno di Green lancia in concomitanza il film-concerto Mick Fleetwood And Friends Celebrate The Music Of Peter Green, tratto dal tribute show tenutosi al Palladium di Londra lo scorso febbraio – dove si esibirono vecchi amici e nuovi estimatori di Green (che, per la cronaca, era in platea a gustarsi l’evento): Pete Townshend (Who), Neil Finn (Crowded House), Noel Gallagher (Oasis), Billy Gibbons (ZZ Top), David Gilmour (Pink Floyd), Kirk Hammett (Metallica), Jonny Lang, John Mayall, Christine McVie (Fleetwood Mac), Zak Starkey (Who, Oasis), Jeremy Spencer (Fleetwood Mac), Steven Tyler (Aerosmith), Rick Vito (Fleetwood Mac) e Bill Wyman (Rolling Stones).

Fleetwood Mac

Then Play On è il trionfo di Peter Green, anche perché la band da lui guidata trova perfetto assetto con l’inserimento di un altro celebrato genio della 6 corde come Danny Kirwan, che resterà con loro fino a Bare Trees (1972). Un album magico fin del titolo, ispirato dai primi versi de La dodicesima notte di William Shakespeare; e che nel corso della tracklist mostra un gruppo in piena evoluzione creativa, capace di lasciarsi alle spalle l’ortodossìa blues fino ad allora perseguita in favore di slanci stilistici ad ampio spettro musicale. Per intendersi: i Mac di PG avevano tutto per essere dei chiari contender dei Led Zeppelin.

Il disco è di una perfezione, di un’ispirazione e di una potenza che davvero non ha perso smalto oltre 50 anni dopo. Naturalmente, dici Then Play On e il momento oltre-lo-stato-di-grazia è Oh Well, 9 minuti tondi: prima parte furiosa e cantata (“But don’t ask me what I think of you/I might not give the answer that you want me to“, recita il testo tagliente come una lama…), mentre la seconda è di puro lirismo strumentale con i 2 mostri della chitarra, Green e Kirwan, al meglio della forma. Uno schema, quello di Oh Well, che chiaramente anticipa la Layla di Derek & The Dominos, con 2 pezzi distinti di Eric Clapton e di Jim Gordon uniti per il bene di un brano capolavoro. Altro pugno nello stomaco è Rattlesnake Shake, riff che fa esplodere le vene e ritmo frustato che tiene tutti sulla corda, tesissima. Un treno lanciato in corsa anche i 2 strumentali contigui e inseparabili, Searching For Madge e Fighting For Madge, che 1 o 2 cose ai Santana le hanno ispirate (e non stiamo a tirar in ballo Black Magic Woman, che trovate nel precedente The Pious Bird Of Good Omen del 1968, se cercate l’originale…).

Danny Kirwan e Peter Green

Lascia senza fiato anche il trittico di pezzi soft Although The Sun Is Shining, When You Say e Before The Beginning, perfetta esplicazione dei Mac cantautori – a riprova del genio a 360° dell’ebreo classe 1946 nato nel quartiere dell’East End londinese di Bethnal Green, che la sua ricetta la sapeva dosare come nessun altro, al netto degli abusi con l’LSD. Fra i 5 pezzi aggiunti, impossibile tacere di The Green Manalishi (With The Two Prong Crown): registrato durante il tour americano a supporto di Then Play On e pubblicato come singolo nel maggio 1970 – sarà il “canto del cigno” di Peter Green con il gruppo e l’inizio di vorticosi cambi di formazione che avrebbero fatto impazzire Peter Frame, l’inventore dei Rock Family Tree, fino a stabilizzarsi, più o meno, con l’ingresso in formazione a metà 70s della coppia americana Lindsey BuckinghamStevie Nicks e relativo clamoroso boom commerciale. Ma quella è un’altra storia. Qui si parla del Mac che dopo il trionfo si perse e più non tornò, colui che: «Pensavo di avere troppi soldi per essere felice e normale. Migliaia di sterline sono semplicemente troppe da gestire all’improvviso per una persona che lavorae ho sentito di non meritarlo». Parola di Peter Green, l’altro Crazy Diamond che preferì lo Splendore della leggenda al successo di tutti i giorni.