Sovversivo, anticonformista, ha fatto del proprio stile un marchio indelebile della new wave tricolore. È un cantautore un po’ fuori dalle righe Fausto Rossi, in arte Faust’O, nato nel 1954 a Sacile in provincia di Pordenone, milanese d’adozione. Al primo ascolto a colpirti è la sua voce schizofrenica e virtuosistica, a volte persino inquietante. Poi ti addentri nella lettura dei suoi testi e a saltare all’occhio è la voglia di spingersi oltre, di osare (forse troppo, per quei tempi).
Dalle prime battute di Suicidio, tratto dall’omonimo album del 1978, ci si può già fare un’idea dei suoi contenuti:
(“Lasciami dormire ancora/Sto soltanto riposando/Fuori tutto è freddo e grigio/Oggi potrebbe essere lunghissimo!”)
Lasciandosi alle spalle il mondo esterno, in preda a una depressione totale viene scartata l’ipotesi di qualsiasi frequentazione. A scattare, è il rifiuto della socialità: frutto di un male assoluto, quasi incurabile, che non ti lascia scampo rendendoti incapace di affrontare e gestire la quotidianità. Nulla di ciò che vedi è motivo di piacere, anzi:
(“Non aprire la finestra/non ho voglia di sentire/Quello che hanno da dire/Non mandarmi giù con loro no!”)
Se la vita “normale” ti pone di fronte a ostacoli, buche, dure prove, ciò che ci descrive Faust’O è un percorso estremamente pericoloso dove tutto è negativo, sbagliato; dove tutto quello che ti gira attorno ha un solo colore, il nero: come il pensiero di compiere un gesto estremo per spegnere definitivamente la luce lasciando ad altri il compito di continuare ad affrontare questa esistenza “malata”, mentre sullo schermo ci sarà scritto per sempre “The End”.
(“Io sapevo della morte/Ma ora guarda quei cretini/Muoiono in un modo molto strano/Potrei divertirmi anch’io!/Ah suicidio!/Ma penso che valga la pena di andare!”)
Sulla scia di Suicidio è Godi:
(“È la perversione, la tua ultima occasione/la corretta soluzione di una vita vissuta a metà/Succhia con prudenza le mammelle della scienza/questa cosmica demenza, sostituto di mamma e papà!“)
In questo inno perverso, viene esaltato il bisogno di andare oltre sbattendo in faccia agli ascoltatori una cruda realtà. Sono davvero troppe le cose che la società ci impone. C’è chi subisce in silenzio, con rassegnazione; chi invece, come Faust’O, è turbato e molto incazzato. Tanto vale assaporare l’esistenza senza freni, né schemi precisi, poiché si può scegliere di vivere come vogliono “loro” o come vuoi tu.
(“Dalla gabbia puoi uscire se ti va/Ma soltanto senza la verginità! Godi, davanti ai borghesi, corrotti ed obesi/Davanti alla fabbrica della pietà”)
Godi! Esci da questa gabbia e assapora la libertà che ti spetta! Manda tutto a farsi fottere e ribellati! Non accettare quello che ti danno ma sii te stesso: è l’unico modo di liberarsi dalle trappole di questa società malata.
(“Godi, sul muso dei vecchi, vestiti da specchi/e ridigli addosso la tua libertà!“)
Un’altra perla del cantautore è Forse anche noi… (da J’accuse… Amore mio, 1980)
(“Forse anche noi ci siamo sbagliati/Credere a tutto e a tutti tranne che a noi/Sempre più lenti le stesse domande/e i soldi non bastano mai”)
Proprio così. Mai come in questo momento le sue parole dovrebbero darci una scossa: ci siamo sbagliati a credere ad altri, senza porci troppe domande… Abbiamo smesso, con il trascorrere del tempo, di credere in noi stessi affidandoci e aggrappandoci agli altri. Ma chi sono gli altri? Cosa sono? È proprio così che deve andare?
(“E la gente sempre vinta/in questa merda di mondo/Indubbiamente amare è un onore/ma i conti non tornano mai”)
Rassegnati, allora. Perché tutto può succedere. E anche l’amore, che di per sé è un sentimento da onorare, non sempre è giusto. Si ama, ma cosa si riceve in cambio? Il nulla, o nei peggiori casi badilate di letame! Ecco quello che secondo Faust’O ci attende durante la permanenza su questa terra. Finale decisamente poco positivo… eppure è la dura realtà, figlia di una società dipendente dal Dio Denaro.
(“Sono stanco di storie che strappano il cuore/Ne ho abbastanza di vetri che tagliano il cuore”).
Concludiamo con Hotel Plaza, brano che ha riscosso molto successo all’uscita di J’accuse… Amore mio. Lo scenario è quello di uno dei più celebri hotel di lusso newyorkesi, dove hanno soggiornato grandi nomi del cinema e dello spettacolo. Ma in mezzo a tanto sfarzo, cosa ci può essere di rilevante per un sovversivo? Cosa rimane a chi decide di togliersi uno sfizio, prenotando una camera anche solo per una notte? Delusione? Forse… O magari il ricordo di quegli “sguardi fermi come fotografie” e “delle voci basse nelle stanze”. Tutto è in balìa delle apparenze. Tutto somiglia a una trappola fatta di specchi, da cui fuggire via…
(“La tua tranquillità, la forza che non hai/vorrei strapparti un grido e portarti via/La tua immobilità, la rabbia che non hai/schiacciata in questi specchi è una follia”)
“Chi sopra un quadro pieno di colori dà una pennellata di nero, non rovina nulla. Anzi, allarga gli orizzonti” (Crise)