Nonostante un certo innegabile, fisiologico senso di declino che sembrava pervadere gli ultimi album, E (al secolo Mark Oliver Everett) e i suoi Eels sono una di quelle creature mutanti che meritano comunque di esser seguite. Non fosse altro che il leader è un songwriter che in qualunque momento può tirar fuori il colpo vincente – e che dal vivo non si è mai visto (e ne abbiamo visti tanti…) un concerto del gruppo di Los Angeles meno che ottimo, oltre che puntualmente imprevedibile. Earth To Dora, se si considerano anche i primi 2 album di E, è il disco N° 15 – e si fa apprezzare ben più che il precedente The Deconstruction (2018), forse l’episodio più flebile di un percorso che in quasi 30 anni ha di certo regalato dischi maiuscoli, vedi Beautiful Freak (1996), il capolavoro Souljacker (2001) e il monumentale doppio Blinking Lights And Other Revelations (2005).

Eels

«Queste canzoni sono nate poco prima della pandemìa, che ha rivoltato le nostre vite. Spero che possano avere un effetto calmanteo qualcosa del genere. In un certo senso, sono canzoni che trattano di cose a cui stiamo sognando di tornare» – così afferma E nel presentare il disco dei Cazzi (traduzione corretta dallo slang Eels). Lavoro che già nei singoli che lo stanno promuovendo, dall’elegiaca Baby Let’s Make It Real al pop sghembo modello Brian Wilson/Van Dyke Parks di Are We Alright Again, si fa apprezzare per una ritrovata vena. Vero che E, quando riesce a trovare il fuoco giusto della sua iperattività musicale, è un tizio che ha le radici giuste: oltre ai già citati geni di Smile (1966-67), ha quel gusto unico di saper unire l’arguzia di Randy Newman, una certa paranoia di John Lennon epoca primal scream e l’approccio poco ortodosso di Tom Waits all’arte della canzone.

E (al secolo Mark Oliver Everett)

Earth To Dora è composto di brani che spesso sono vignette a dir poco surreali, tipo Are You Fucking Your Ex?, che già nel titolo non va per il sottile (“Stai fottendo il tuo ex?/Il mio amore è così strano“); tipo Anything For Boo, con un tono dolceamaro che sembra flirtare con i migliori Ben Folds Five; tipo The Gentle Souls, tardo Beatles che sarebbe perfetto in un film di Wes Anderson o di Michel Gondry; tipo OK, saga cameristico-western con in background scenari Johnny Cash pastellati; tipo I Got Hurt, impalpabile ballata che fra tutti i numeri del lavoro sembra davvero il più splendente. Piccola annotazione cui il leader tiene a far sapere al mondo: il dipinto riportato nella copertina è da tempo immemore appeso nel bagno di casa E davanti alla tazza del cesso. Inspirational. E anche per stavolta è tutto dal pianeta Eels.