Pensando alla musica d’autore oggi, viene naturale chiedersi dove sia finita o in quali canali si è infilata, viste la scarsità e la pochezza di contenuti. Ci sarà oppure no da qualche parte una piccola luce verso cui guardare per mantenere viva la speranza di trovare qualcuno che abbia qualcosa di bello e di profondo da comunicare?

Gian Marco Basta, cantattore bolognese, nel 2009 frequenta il laboratorio di teatro-canzone di Enzo Jannacci alle Scuole Civiche di Milano e nel 2013 partecipa a 2 stage di recitazione teatrale condotti da Dario Fo e Franca Rame alla Libera Università di Alcatraz a Gubbio (PG). Dotato di una vena sarcastica tutta sua, “punzecchia” il pensiero lasciandoti sempre con il sorriso sulle labbra. Ha al suo attivo 3 album: Teatrino di Basta, coprodotto dall’Associazione Culturale SoundLab di Bologna (2013), Secondo Basta (Fonofabrique, 2016), Quanto Basta Vol. 3 (Libellula Music, 2018).

Un’idea del tipo di cantautore con il quale abbiamo a che fare la troviamo nel brano Artista Bonsai, tratto da Secondo Basta:

(“Sono un artista bonsai/l’attizzatoio dei guai/il tuo gattomammone, ma le fusa me le faccio da solo/sono un artista bonsai/ il vino che non invecchia mai…”)

Un piccolo artista (bonsai, appunto) che si presta come tutti gli intrattenitori a donare qualcosa agli altri; che vive la sua vita solo per la bellezza dell’arte riservando poco spazio alla cosiddetta “normalità”; del tutto estraneo a questo mondo che dà poco peso ai valori autentici, vive di emozioni regalando emozioni. Ama la vita e le donne ma a modo suo, deludendo le aspettative altrui…

(“Ti ricordi lo scambio dell’anello/poco importa se era solo un tarallo…”)

E al bivio fra libertà e realtà, artista o altro, non ha alcuna esitazione:

(“Sarò artista per sempre/canterò fino all’ultimo dente/mi troverai affacendato nei bar/tu con la prole, io con la libertà/Sarò artista e poi basta/al figlio punk, fagli la cresta/ma quando torni a casa/e non trovi nessuna rosa/apri il frigo/e fatti la lampada”)

E c’è un altro simpatico pezzo, Una vita per la SNAI:

(“Volevo vincere alla SNAI/Volevo rifarmi di tutti i miei guai/da una vita in sordina/a un’avvenire tutto in vetrina!”)

Già, vincere alla SNAI. Una falsa speranza che attanaglia un gran numero di persone: come il personaggio di questa storia, che non accontentandosi di quello che ha già sogna di vincere e spende tutti i soldi a favore della dea bendata. Tant’è che prova tutti i giochi, giorno dopo giorno, consumando energie e denaro per diventare ricco, navigare nell’oro, bere champagne, comprare barche, fare viaggi… Ma ricco “non lo divenni mai”.

E poi? Nulla e ancora nulla, col rischio di dover fare i conti con una crescente povertà, sia spirituale sia economica:

(“E adesso che sono pensionato SNAI/non reggo più il gioco, vado avanti a tocai/sono finito sul serio in vetrina/accendo e spengo i monitor sull’ippica […] le mie mani son piene di calli/non tocco un euro da vent’anni ma… non lo divenni mai…”)

A volte, però, la tanto auspicata ricchezza potrebbe giungerci da un ricco parente ormai al crepuscolo della vita: magari dalla nonna, che convinta di lasciare l’eredità ai nipoti devoti illustra loro ciò che un giorno possiederanno. Ma se il destino cambiasse le carte in tavola? Gian Marco Basta ce lo spiega in Topicida, ispirato a un fatto di cronaca veneta:

(“Un giorno/tutto questo sarà tuo, diceva la nonna/e tutti noi ad aspettare/volevamo bene alla nonna/ma lei non moriva mai, non moriva mai…”)

Storia comune a un sacco di famiglie. Quando il peso degli anni comincia a bussare alla porta di qualcuno tutti i parenti (anche quelli assenti) cominciano a fare i conti e a formulare ipotesi sulle possibili spartizioni. Chi vince, in questi casi, è sempre l’interesse a discapito dell’umanità intesa come sentimento d’amore disinteressato. In questa storia, però, la nonna ha la “pelle dura” e nonostante gli acciacchi non muore mai. E allora bisogna escogitare qualcosa per accellerarne la dipartita. Ma come farlo senza rischiare di essere scoperti?

(“Buonasera vorrei un veleno per topi/e che sia il più potente/e che non alteri i valori del sangue/Insomma un veleno che ammazzi all’istante…”)

Siccome il buon Dio ritarda la “chiamata”, perché non aiutarlo mettendo un po’ di topicida nell’amata gelatina di frutta aspettando l’effetto desiderato? Destino vuole che dopo 30 giorni la vecchina non accenni a morire.. anzi (forse in seguito a una soffiata) gli eredi vengono colti sul fatto e arrestati. Come dice il proverbio, chi la fa l’aspetti… Non solo la nonna non ha fatto la fine del topo ma è rimasta lì, viva e vegeta, a salutare i nipoti in gabbia:

(“Un giorno/tutto questo sarò tuo/Ora nonna ci saluta/sulle sue gambe e noi/come dei sorci/a ringhiar dietro le sbarre…”)

Soffermiamoci, in conclusione, su Don’t Cry alla Crai tratto da Quanto Basta Vol. 3:

(“Un milione e passa di supermercati sparsi per tutto il pianeta/file di carrelli d’avanti l’entrata/si vedono anche dalla luna”)

Introduzione all’apparenza scontata: supermercati, punti vendita, qualità della merce… Fin qui nulla di trascendentale. Ma anche in un posto comune, punto d’incontro frenetico in assenza di socialità, ci si può innamorare…

(“E lei sempre lei che guarda a mezz’aria/tra le sue mani passa tutta Bologna, tra i peperoni e i peperlizia/Non si è accorta che io vivo per lei/Don’t Cry alla Crai/Don’t Cry alla Crai …”)

Eccolo il colpo di fulmine inaspettato! Il Romeo bolognese, per vedere la sua Giulietta (in cassa) diventa un assiduo frequentatore del supermarket sognando forse un appuntamento, o magari chissà…

Ma avrà avuto il coraggio di dichiararsi? Anche se così non fosse, finirà nella hit parade come miglior cliente della Crai!

Nel percorso artistico di Gian Marco va infine menzionato il suo braccio destro, il maestro polistrumentista Claudio Giovannini, che accarezza qualsiasi cosa emetta un suono per rendere ancora più magiche le sue parole.

“E noi nel tempo della musica liquida dai contenuti inesistenti, proviamo a stare a galla e a non farci trascinare da questa corrente del nulla” (Crise)