Solo nell’ultima dozzina d’anni Beck, il mutante per antonomasia della Generazione X, lo abbiamo visto calarsi in fumi psichedelici molto 60s (Modern Guilt, 2008), nella West Coast di chiara matrice Neil Young/David Crosby (Morning Phase, 2014 – grande protagonista dei Grammy 2015) e nei vivacissimi beat Disco Music meets Talking Heads (Colors, 2017). Sempre di corsa, sempre pronto allo u-turn. Hyperspace gioca la carta dell’accoppiamento con Pharrell Williams, Re Mida della black music americana dell’ultimo ventennio fra pop, hip-hop e r&b – ma non attendetevi nulla di vicino ai Daft Punk, ai N.E.R.D. o ai Neptunes.

I 2 producono assieme l’intero lavoro e ne scrivono l’80% a 4 mani: quindi tutt’altro che l’unione di 2 tizi famosi che si mettono assieme giusto per far notizia. Tutto nasce da Williams che chiede ad Hansen di fare qualcosa in quello che doveva essere un singolo o un Ep dei N.E.R.D., che non ha mai visto la luce – di lì la scintilla è divampata e il risultato sono queste 11 nuovissime canzoni. Album che conferma Beck artista che cerca di arricchire la propria musica con generi sempre nuovi – anche adesso quasi 50nne ma con sempre lo sguardo disincantato del genietto che esaltò le masse con singoli di portata epocale (Loser) e con dischi di creatività sconfinata (Odelay, 1996). Insomma, maestro di suono, suggestione, riff e ritmo, uniti dal warm feeling che sa sempre scatenare la sua arte dei suoni.

Nei propri 40 minuti esatti, Hyperspace scandaglia fra residui sonori che citano Prince e prog di varia estrazione, Kraftwerk e i vecchi amici Air (impagabile la collaborazione del 2001 fra il duo francese e il californiano in 10,000 Hz Legend), restituendo tutto con inconfondibile impronta Beck. Polmoni pieni, guance gonfie – come se Hansen fosse immerso in un acquario dove senza soluzione di continuità si passa dal synth kraftwerk-issimo di Uneventful Days, al frenetico blues tutto tempi dispari Saw Lightning; dalla ballata 80s Die Waiting con ospite la reginetta dell’indie-pop Sky Ferreira (che si fa sempre “manovrare” bene se nelle mani giuste, vedi la partnership coi Primal Scream di 2-3 anni fa), agli acquerelli caleidoscòpici See Through e Chemical, residui stilistici di Morning Phase; dalla quasi new age di Stratosphere, ospiti Chris Martin (Coldplay) e Jason Falkner, alla splendida uscita prog Dark Places, pervasa dalla sempre estrosa chitarra del suo antico collaboratore Smokey Hormel (grande manico già anche al servizio di Tom Waits, Johnny Cash, Norah Jones, Blasters, etc).

Menzione a parte per la conclusiva Everlasting Nothing, essenzialmente una ballata soffice ed estatica – ma con acume arrangiata con in background effetti apocalittico-floydiani alternati a quelli che sembrano di un Atari anni 80. L’iperspazio according to Beck è un luogo che val la pena visitare, in sostanza (chimica).

Beck e Pharrell Williams