Tutto è iniziato con Book (2018), lo straordinario libro autobiografico che tramite una valanga di immagini e di parole ne narrava la leggenda; poi pochi mesi fa è toccato a Story (2020), eccellente film documentario diretto dall’amico fraterno e loro regista favorito, Spike Jonze (Amarillo By Morning, Essere John Malkovich, Human Nature, Adaptation., Nel paese delle creature selvagge, Her); mentre ora è messo cappello definitivo con Music, antologia fatta di 20 pezzi per quasi 70 minuti di musica semplicemente inesorabile, travolgente, unica. Quella dei Beastie Boys.

La copertina di Book (2018)

Il manifesto del film documentario Story (2020), diretto da Spike Jonze

La morte arriva per tutti, scontato dirlo – ma aver perso AdamMCAYauch (1964-2012) ancora nel pieno delle attività BB ha privato il mondo della music machine più importante apparsa in America da metà 80s per i seguenti 25 anni (in verità la band, prima di debuttare discograficamente, era già in giro da fine anni 70). Per dirla chiaro: non vi sono Jane’s Addiction, Nirvana, Public Enemy, Beck o Pearl Jam che tengano: in quel lasso di tempo i 3 ragazzi di New York City sono stati la cosa più rivoluzionariahot capitata al mondo della musica, americana e non solo. Negli album, nei (sensazionali) videoclip e nei palchi i Beastie Boys hanno semplicemente spadroneggiato, mettendo a punto un’esplosiva formula che non ha avuto eguali né mai potrà averne, fatta di ingredienti chiarissimi: Bob Dylanhip-hop, Minutemen/fIREHOSE, funk, Martin Scorsesehardcore, Miles Davis, rap, Gil Scott-Heron, punk, Mike Tysonstreet culture, Spike Lee, jazz e Grandmaster Flash. Difatti, ogni loro nuovo disco smuoveva masse, debuttava direttamente al 1° posto in classica, vendeva milioni di copie al 1° giorno di pubblicazione, batteva record di vendita uno dopo l’altro.

Beastie Boys, Locarno (CH), Moon & Stars Festival, 2007

Non chiedete cosa significhi Beastie ma sappiate solo che è l’acronimo Boys Entering Anarchistic States Toward Internal Excellence, che in italiano potrebbe suonare more-or-less “ragazzi che entrano in stati anarchici verso l’eccellenza interna” – Resavei. Roba che profuma del Bob Dylan che governava il caos nel biennio 1964-66 – già, perché se è mai esistito qualcuno che può vantare il titolo di erede di His Bobness, quel His Bobness fra l’hipster anfetaminico e la ferocia della poesia mercuriale che gli sgorgava senza sosta, mettete pure da parte tutti i David Bowie o i Bruce Springsteen di questo mondo, poiché la sottile linea che unisce Bringing It All Back Home/Highway 61 Revisited con Paul’s Boutique/Ill Communication è innegabile quanto inchiodata con l’acciaio.

Metter su Music è quasi insopportabile, procura male allo stomaco – talmente è la colonna sonora par excellence della cosiddetta Generazione X e talmente fa capire che il vuoto lasciato dai 3 tremendissimi è una voragine incolmabile. Potremmo metterci a dire quello che manca in Music – tipo, dove diavolo sono Fight For Your Power, High Plains Drifter o la clamorosa Rhymin & Stealin con campionata When The Levee Breaks dei Led Zeppelin? – ma non lo facciamo. Perché non vorremmo inibire qualunque pischello o non-iniziato all’ascolto di questa antologia, che per chiunque con le orecchie vergini al verbo BB potrebbe essere materiale fulminante. Noi, abituati a loro fin dall’adolescenza, invece siamo travolti dalla nostalgia. Già, perché qui, sebbene siano passati anni-lustri-decenni, il materiale è incandescente e montabile/smontabile a piacimento, come nemmeno un lego. Tipo il robot che si dà all’hip-hop in Intergalactic. Tipo in Body Movin’ dove fanno i Massive Attack che incontrano James Brown. Tipo il freestyle che diventa soundtrack 70s in Ch-Check It Out. Tipo in Sabotage, roboante mash up Minutemen/Zep – chi ricorda l’apparizione al Letterman Show con AdamAd-RockHorovitz affilato come Bob Dylan nel palco di Newport 65 e la band che domina tutto come Elvis Presley all’Ed Sullivan Show nel 1956? Tipo come far ballare il mondo modello Prince/OutKast in Hey Ladies. Tipo in No Sleep Till Brooklyn dove sono bellamente sfottuti gli Aerosmith e tutti i loro epigoni hard rocker con capelli al vento (e tanta lacca).

© Cico Casartelli 2007

Quella dei Beastie Boys è stata semplicemente sintesi totale della liberazione del corpo che incontra quella della mente, il tutto scevro di qualunque intellettualismo – anzi, facendo i cazzoni con il loro hip-hop senza aver mai tradito la bottom line, le fondamenta del rock and roll, ma avendo sempre qualcosa da dire. Non è capitato a molti. E che le ultime parole siano lasciate a MichaelMike DDiamond, vergate in onore di MCA nel già menzionato Book: «Quando da ragazzini vivevamo insieme a Christie St, Yauch ha cooptato la mia copia del primo album di Bob Dylan e l’ha suonato allo sfinimento. Yauch rimase folgorato da quel disco e recitava l’introduzione parlata di Baby, Let Me Follow You Down, imitando la voce di Dylan che sembrava piena di tabacco da masticare: “…’sta roba la prima volta l’ho sentita cantata da Rick von Schmidt…”». Amen, nel nome di dove “gli stati anarchici verso l’eccellenza interna” partirono alla conquista del mondo.